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Il nuovo governo di Israele non c’è ma già litiga sui temi Lgbt

Continua la caccia ai ribelli da parte del premier uscente Netanyahu per evitare un governo senza di lui. Intanto, la coalizione anti Bibi litiga: sinistra contro arabi sui temi Lgbt

Il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu non cessa i suoi attacchi contro Yair Lapid e Naftali Bennett: “Hanno venduto il Negev a Ra’am”, ha scritto su Twitter con riferimento a quello che potrebbe essere il primo partito arabo nella storia di Israele a entrare in un governo dopo l’intesa tra il leader del partito centrista Yesh Atid e quello della formazione di destra Yamina. L’unità 730 dello Shin Bet, quella che si occupa della sicurezza delle più alte figure istituzionali del Paese, ha iniziato a proteggere Bennett, che dovrebbe essere il prossimo primo ministro del Paese secondo l’accordo di spartizione dell’incarico che prevede a settembre 2023 il passaggio di testimone a Lapid. Ci sono anche le congratulazioni da parte della potente lobby American Israel Public Affairs Committee.

Sembra, dunque, tutto pronto per la nascita del governo che può mettere fine ai 12 anni di governo ininterrotto del Likud e di Netanyahu. Ma il primo ministro uscente sta cercando di rimanere a galla: Mansour Abbas, leader di Ra’am, ha raccontato di aver ricevuto diverse telefonate da Netanyahu nei giorni scorsi e Ayelet Shaked, numero due di Yamina, è sotto pressione da parte del suo elettorato per l’appoggio del partito – che gli osservatori collocano più a destra del Likud – a un governo di larghe intese con la sinistra.

Molto degli sforzi di Netanyahu dipenderà dal tentativo di Yesh Atid e Yamina di spodestare Yariv Levin del Likud dalla poltrona di presidente della Knesset. Rimanendo in sella, Levin potrebbe rinviare alla prossima settimana il voto di fiducia del parlamento al nuovo governo, lasciando così qualche giorno in più al Likud e ai suoi alleati per accrescere la quota di ribelli nei partiti che sosterranno l’esecutivo. Se Netanyahu dovesse riuscirci, l’ipotesi più probabile sarebbe allora un ritorno alle urne, per la quinta volta in due anni e mezzo, la prima da presidente di Israele per il laburista Isaac Herzog, che il 9 luglio succederà a Reuven Rivlin, storico esponente del Likud.

Intanto, si sentono già i primi scricchiolii tra i neoalleati. Quasi a dare ragione a Netanyahu che sostiene che l’unico collante di questa coalizione sia la guerra contro di lui, iniziano a emergere, infatti, divergenze sulle questioni programmatiche. Nitzan Horowitz, leader della formazione di sinistra Meretz, ha annunciato oggi, nella giornata in cui si tiene il Jerusalem Pride Parade, che l’intesa con Yesh Atid include un impegno a sostenere la comunità Lgbt e a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Immediata la reazione di Ra’am. Il deputato Walid Taha ha spiegato che la coalizione su basa sulle “molte cose su cui non c’è disaccordo” – la prima sembra essere Netanyahu –, ma ha aggiunto: “Non sosterremo nessuno che ci imponga valori in cui la nostra comunità non crede”.

(Foto: mfa.gov.il)


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