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Così Egitto e Turchia litigano per le forze straniere in Libia

Di Massimiliamo Boccolini e Emanuele Rossi

Una fonte della delegazione libica racconta perché Ankara e Cairo sono nuovamente ai ferri corti dopo la Conferenza di Berlino a causa di una controversia sul documento condiviso

La conferenza di Berlino sulla Libia di due giorni fa si porta dietro un effetto negativo sui rapporti in ricomposizione tra Egitto e Turchia, col Cairo pronto a interrompere il dialogo con Ankara. Perché? Una fonte dalla delegazione libica presente al summit organizzato in Germania spiega in forma riservata a Formiche.net che tra i due Paesi si è verificata una controversia sulla clausola che riguarda l’uscita delle forze straniere dal territorio libico contenuta nell’articolo 5 del documento condiviso. La Turchia ha espresso le sue riserve su questo, perché si equiparano i mercenari alle forze regolari turche arrivate sulla base di un memorandum d’intesa Ankara-Tripoli “entrato nei registri delle Nazioni Unite”.

La questione è di primissimo piano: uno degli obiettivi principali per la stabilizzazione libica — avviata grazie al cessate il fuoco dello scorso ottobre e alla creazione di un Governo di unità nazionale sotto egida Onu — è proprio l’uscita dal Paese delle forze straniere. Unità che sui due lati del fronte, Tripolitania e Cirenaica, erano state schierate dagli attori esterni che hanno sostenuto gli scontri intra-libici. La Turchia in questo rivendica un vantaggio: gli uomini che ha spostato sono frutto di un accordo con il precedente governo onusiano di Tripoli, il Gna, mentre quelli che Russia, Emirati Arabi e Egitto hanno facilitato verso la Cirenaica sono combattenti dietro a cui non c’è nessuna forma di riconoscimento — anzi, gli stessi Paesi stranieri negano coinvolgimenti — e per di più hanno aiutato militarmente le forze di chi voleva rovesciare l’esecutivo e i piani delle Nazioni Unite.

Ankara sa di avere un vantaggio, fosse altro dal punto di vista del diritto internazionale, per questo sembra disposta a ritirare i miliziani siriani ma non le (poche) unità regolari. La stessa consapevolezza c’è al Cairo, e per questo gli egiziani provano a stressare su una richiesta di ritiro completo e incondizionato di tutte le forze (anche turche) dalla Libia. Pena la sospensione del dialogo strategico Egitto-Turchia, a cui i secondi tengono particolarmente perché è il modo negoziale con cui possono ricostruire la propria presenza nel quadrante geopolitico del Mediterraneo orientale — dove Ankara ha interesse a prendere parte alla partita energetica attorno ai reservoir gasiferi recentemente scoperti, nonché nelle annose rivendicazioni con Grecia e Cipro.

La presenza militare turca in Libia è vista dall’Egitto come una questione di sicurezza nazionale. I due Paesi sono divisi dalla faglia intra-sunnita, dove la Turchia rappresenta il pensiero culturale-politico-ideologico di chi intende ribaltare lo status quo e che si rifà al cosiddetto “Islam politico”, mentre l’Egitto è allineato con chi quello status quo vuole proteggerlo a oltranza — l’Arabia Saudita (e gli Emirati). Sulla base di tali divisioni, il Cairo fatica nell’accettare le attività di penetrazione geopolitica che Ankara ha lanciato in vari territori — come il Nordafrica, il Sahel o il Corno d’Africa — che gli egiziani considerano parte del proprio approfondimento strategico. In Libia la situazione è particolarmente calda, perché l’accordo con Tripoli ha concesso ai turchi i termini per entrare in azione effettivamente (e legittimamente secondo il quadro giuridico), e questo ha permesso alla Tripolitania di vincere la guerra contro la Cirenaica. Una regione che l’Egitto vede come la naturale estensione geografica dei propri confini.

 

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