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Il Mossad ha messo le radici in Iran. Le parole di Ahmadinejad alla vigilia del voto

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi
iran Mahmoud_Ahmadinejad_Columbia

L’ex presidente iraniano punta il dito contro l’intelligence “infiltrata” da Israele. Ecco che significato hanno le sue parole a poche ore dalle elezioni

L’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ne ha per tutti. Per l’ala conservatrice che ha premuto per la sua esclusione dalle elezioni presidenziali iraniane di venerdì 18 giugno per ordine del Consiglio dei Guardiani che sembra voler spianare la strada all’ultraconservatore Ebrahim Raisi, oggi a capo del potere giudiziario della Repubblica islamica. E per i cosiddetti moderati, guidati dall’attuale presidente Hassan Rouhani.

L’ex leader ha criticato i servizi segreti iraniani per la loro incapacità nel proteggere gli interessi del Paese, in particolare quelli iraniani dinnanzi agli sforzi di Israele. In due ore di intervista rilasciata a un canale locale online pochi giorni prima dell’ufficialità della sua esclusione dalla contesa elettorale, Ahmadinejad ha spiegato che gli 007, piuttosto che piazzare telecamere per controllare la sua abitazione, avrebbero fatto meglio a difendere la centrale di Natanz.

Si tratta del sito di arricchimento dell’uranio cruciale per il programma nucleare iraniano di cui ha parlato recentemente anche Yossi Cohen, che da qualche settimana ha lasciato la guida del Mossad a David Barnea, già suo vice noto come un un abile reclutatore di agenti in tutto il mondo, con particolare riguardo all’Iran. Intervistato dalla televisione israeliana Channel 12, l’ex capo delle spie ha offerto dettagli precisi su alcune operazioni, tra cui quella che nel 2018 permise a Israele, grazie a un team di una ventina di persone (tutti operativi stranieri), di mettere le mani sui documenti riservati sul programma nucleare iraniano confermandone l’esistenza almeno dal 2003. In quelle carte c’era anche il nome di Mohsen Fakhrizadeh, padre del programma nucleare militare iraniano, ucciso a novembre. Le ricostruzioni di Cohen, come ha osservato Yossi Melman su Haaretz, rappresentano una novità per le attività dell’intelligence israeliana vista la pubblicità data dall’ex direttore, forse per via delle sue ambizioni politiche.

Ma l’ex presidente Ahmadinejad parla anche di infiltrazioni e influenze di Israele sui servizi segreti iraniani. E così facendo tocca un nervo scoperto. Uno degli elementi che porterà alla sconfitta la parte politica pragmatico-riformista, quella che ama definirsi “moderata” e che è rappresentata da Rouhani, sta infatti nel non aver ottenuto tornaconti utili mentre si mostrava aperta nei confronti dell’Occidente — che i conservatori e gli ultra conservatori iraniani vedono come nemico. Nei due mandati presidenziali, Rouhani ha lavorato per ricomporre, attraverso l’accettazione dei dettami del Jcpoa, l’immagine e la prosperità iraniana: ha sottoscritto l’accordo per congelare il programma nucleare, ha cercato con questo di rilanciare le potenzialità economico-commerciali dell’Iran, ha provato a dimostrare che la Repubblica islamica può essere una controparte affidabile. E però non ha ottenuto i benefici attesi, anche perché l’amministrazione Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti dall’intesa imponendo la riattivazione delle sanzioni. E la Casa Bianca di Joe Biden, che ha annunciato di voler rientrare nel Jcpoa, ha anche dimostrato di non essere intenzionata a bruciare le tappe.

Per le componenti conservatrici e reazionarie della politica iraniana questa è la dimostrazione che fare accordi con il nemico è inutile, anzi: Rouhani viene criticato per aver mostrato troppo il fianco. Essersi reso disponibile al negoziato, secondo questi, avrebbe indebolito l’Iran e tale indebolimento avrebbe dato occasione a Israele — sempre contrario al negoziato, e interessato all’ingaggio con Teheran — di agire dietro le linee. Infiltrarsi nel Paese, reso più malleabile dalle mollezze di Rouhani, come fa capire l’ex presidente Ahmadinejad.

D’altra parte, nelle scorse settimane era stato pubblicato un audio rubato al ministro degli Esteri uscente, Javad Zarif (stella del mondo politico pragmatico-riformista), in cui lamentava di come i Pasdaran — che dei conservatori sono forza istituzionale molto oltre il loro ruolo tra le forze armate — avessero per tutto il tempo del suo mandato ostacolato la sua attività e quella del governo di cui era immagine internazionale. Da questo ostruzionismo, compiuto anche attraverso varie operazioni aggressive all’estero che hanno alzato l’attenzione dei nemici dell’Iran, deriverebbero le difficoltà e gli insuccessi delle presidenze Rouhani, secondo Zarif. È un gioco delle parti, con aliquote di verità.


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