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1861-2021. 160 anni dall’Unità d’Italia e 75 dalla nascita della Repubblica, in numeri

Di Biagio Costanzo

Informazioni e numeri per dare il quadro di come “eravamo” e di come “siamo” diventati in occasione della festa della Repubblica

Lo scorso 17 marzo 2021, si è celebrato il 160° anniversario dell’Unità d’Italia. Argomento di una mia riflessione già dieci anni fa, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario. Oggi voglio ritornare sul tema non immergendomi nella parte che più mi appassiona, ovvero il Risorgimento, ma approfondendo una serie di informazioni e numeri per dare il quadro di come “eravamo” e di come “siamo” diventati.

1861

Le prime Elezioni per 443 deputati del Regno si tengono il 27 gennaio 1861. Ma è una tipologia di voto molto diversa da quella di oggi. Il Paese all’epoca è molto più giovane, l’età media è di 27 anni ed è anche più piccolo. Ricordiamo che manca il nord est, (ancora austriaco) e tutto il Lazio, rimasto al Papa.

La popolazione è di 27 milioni e 778 mila abitanti, hanno diritto al voto maschi, avere almeno 25 anni, saper leggere e scrivere e aver pagato almeno 40 lire (circa 180 euro di oggi) in un anno.

Tutte condizioni che, in una nazione povera dove l’analfabetismo oscilla fra il 42 % del Piemonte e l’88% della Basilicata, fanno una selezione durissima. Gli aventi diritto al voto sono in fatti appena l’1.9 % della popolazione ma a votare si recano solo 240 mila cittadini, circa l’1 % degli italiani.

1871

Il nostro resta ancora un Paese con più uomini che donne, come il Belgio e l’America, reduci dalla guerra civile iniziata dieci anni prima e che per quasi un lustro ha insanguinato le Americhe.

Nell’impero austroungarico, in Gran Bretagna e in Francia la maggioranza della popolazione è invece femminile. E, mentre gli analfabeti continuano ad essere il 67% dei cittadini con oltre 10 anni di età, negli Stati Uniti sono il 20.0% e in Prussia appena il 14%.

L’Italia resta poverissima. Il reddito pro-capite annuo è appena di 315 lire (1.343 euro di oggi) e che ai tempi di oggi ci collocherebbe sotto la Tanzania e sopra il Burkina Faso! Di contro i conti pubblici sono in attivo. Nel 1871 il bilancio del Regno d’Italia registrava un avanzo di 75 milioni di lire, pari a circa 300 milioni di euro odierni.

1901

È l’anno della grande fuga, l’emigrazione assume enormi. Nei primi dieci anni del nuovo secolo vanno via dall’Italia in media 600 mila persone ogni anno. Gli Stati Uniti rappresentano la principale destinazione del 43% degli emigrati.

Invece, gli stranieri in Italia, in quel periodo, sono circa 60 mila, solo 190 ogni centomila abitanti; in Francia se ne possono registrare 2.748 e in Germania 1.381. La regione italiana dove sono presenti più immigrati è la Liguria, seguita dalla Lombardia e della provincia di Roma.

Gli stranieri ufficialmente residenti in Italia al 31/12/2009 erano 4.236.000 vale a dire 7.019 ogni centomila abitanti, 37 volte in più del 1901 certo ma ancora molti di meno, in rapporto alla popolazione, rispetto per esempio a quanti ne avesse, all’inizio del secolo scorso la Svizzera, dove ogni centomila svizzeri ne troviamo 11.532 stranieri.

In quegli anni le famiglie composte da una sola persona erano l/8.8% e sono il 28% oggi. C’erano l’automobile e l’elettricità per non parlare del telefoni. In un Paese nel quale appena il 51% degli abitanti sapeva leggere, esistevano già cento posti pubblici telefonici.

Il Pil pro-capite era pari al controvalore attuale di 1.600 euro, contro i 25.000 circa di oggi.
L’agricoltura comunque assorbiva ancora il 38% della forza lavoro e la pubblica amministrazione era snellissima. Gli impiegati erano 178 mila senza contare gli insegnanti. Le donne erano una rarità, 5065 appena. Oggi la forza lavoro corrispondente nella Pa supera i due milioni e mezzo e le donne rappresentano il 565 del totale.

1921

Alla vigilia del fascismo il Pil italiano ha raggiunto un livello paragonabile al 5% di quello del 2009. Nei primi sessant’anni la crescita reale della nostra economia è stata modesta, il Pil è salito del 50% circa, ovvero meno dell’un per cento in media l’anno.

Nel 1921 si contano in tutto il Regno d’Italia 34.140 automobili, meno di una (0.86) ogni mille abitanti, che nel frattempo, complice anche l’espansione territoriale seguita alla prima guerra mondiale, ha superato i 38 milioni.

Nel 2009 le vetture circolanti sul nostro territorio avevano superato i 36 milioni, cioè oltre 600 per ogni mille abitanti, il rapporto più elevato del mondo con le uniche eccezioni dell’Islanda e del Principato di Monaco.

La città italiana più congestionata è Roma con oltre 700 auto circolanti per ogni mille abitanti. Le famiglie che, in quel periodo, vivevano in una abitazione in affitto erano il 48.4%.

1951

Nel 1946, finalmente, anche le donne hanno avuto diritto al voto e hanno potuto esprimersi al referendum monarchia/repubblica. Alla caduta del fascismo, ormai anche i sindaci hanno preso il posto dei podestà. Il territorio nazionale, a seguito della sconfitta nella seconda guerra mondiale, si è di nuovo un po’ rimpicciolito ma la popolazione è cresciuta fino ad arrivare i 47 milioni di abitanti.

Si prepara il boom economico, l’analfabetismo è sceso al 13% della popolazione, ma il numero dei laureati resta ancora modestissimo. Infatti, arrivano alla laurea l’1% della popolazione, oggi sono oltre 10 volte di più. Ma in Italia i laureati sono ancora la metà del resto dell’Unione europea: 11.7% dei maschi tra i 25 e i 65 anni, contro il 23%. Più istruite degli uomini, in Italia, sono le donne, il 18.9 % delle quali è in possesso della laurea.

Nel Paese divenuto repubblicano circolavano meno di 150 mila auto che però sarebbero state destinate ben presto a colmare ogni spazio vuoto. Nel 1951 erano già 425.284. Succulento antipasto di quello che sarebbe stato appunto il boom economico.

2011

In questi 150 anni siamo diventati sicuramente più ricchi, ognuno di noi può contare mediamente su un reddito pari a quello che nel 1861 avevano 22 italiani.
Più di mezzo secolo di crescita economica praticamente ininterrotta!!

La riforma agraria, la ricostruzione post-bellica, il desiderio di riscatto degli italiani di un tempo, nasceva la Cassa del Mezzogiorno per ridurre il divario, (cresciuto a dismisura durante gli anni 20), si affermava la scuola di massa, arrivava la televisione.

Iniziava in poche parole la modernizzazione, con i suoi pro, più ricchezza diffusa, più sani e attenti ma anche con l’8% di cementificazione, i nostri laureati sono la metà che nel resto d’Europa, la disoccupazione giovanile è al 30% e le differenze e fra Nord e Sud si sono accentuate.

Inoltre, ahinoi, siamo anche più anziani!! I più anziani d’Europa. Il dato, 14.902 il numero delle persone con oltre 100 anni di età. La nostra età media è di 43 anni e rispetto ad un secolo e mezzo fa è aumentata del 61%. Il 20 % della popolazione ha più di 65 anni, contro il 4 % nel 1861 e l’8% nel 1951, i giovani con meno di 15 anni di età raggiungono a malapena il 14 % mentre 150 anni fa erano oltre un terzo degli italiani e nel 1951 rappresentavano più di un quarto della popolazione.

Nel 2011 l’indice di vecchiaia ha toccato 143.4. Significa che per ogni 100 giovani ci sono, nel nostro Paese, 143.5 anziani. Con una popolazione attiva del 52% valore fra i più bassi d’Europa.

Insomma, il tutto ci induce a parafrasare in negativo una celebra frase “Noi siamo un Paese per vecchi”!

2021

Dal 2011 a oggi ancora tante le trasformazioni vissute.

Nel modo dal punto di vista politico molte cose sono successe e hanno modificato la percezione delle soluzioni ai problemi. Ritornano contrapposizioni ideologiche, senza per altro il fervore della vera passione ideologica, che dimostra come da noi gli orologi della storia sembrano fermi agli anni 45/50.

Abbiamo quindi visto il nascere dei cd “populismi” in Europa ma anche fuori dai confini del vecchio continente spinti dalla prima vera crisi del capitalismo inteso come profitto prima di tutto, accentuando un individualismo sempre più acuto e penetrante. È stato quindi facile cavalcare l’onda del disagio sociale, senza fare però una veritiera analisi nel dare soluzioni concrete.

Si è pensato ad un certo punto che la competenza fosse solo un fardello “elitario” spingendo “fintamente” l’uno vale uno e cavalcando ancora una volta l’onda giustizialista e la gogna mediatica (per tornare oggi a scusarsene perché oramai il populista di ieri è divenuto la casta più casta di oggi…troppo facile cosi).

Inoltre, dieci anni fa il web era già presente copiosamente nella nostra quotidianità ma da geniale intuizione, da utilissimo strumento di modernizzazione, da opportunità di conoscenza, di capillare diffusione e rapidità delle notizie, oggi, possiamo affermare, senza tema di smentita, che, una gran parte di esso, è divenuto ormai un mondo a parte, identico a sé stesso, una miscellanea uniforme dove ogni cosa ha eguale valore, il basso e l’alto, il bene e il male, il vero e il falso, dove si erge prepotente superficialità, odio, rancore, livore, invidia, insomma i morbi dell’incultura.

Si è ritornati all’analfabetismo di ritorno. Secondo l’Istat, si deve considerare che, nell’ultimo decennio, parallelamente alla rivoluzione digitale si è registrata una crescente disaffezione verso la lettura. Nel caso dei libri, ad esempio, in meno di 10 anni, dal 2010 (anno di picco della quota dei lettori) al 2019, la quota di lettori è scesa dal 45,2 per cento al 38,4 per cento (sul totale della popolazione di 18 anni e più), con un calo che ha toccato in particolare la fascia di età tra i 35 e i 64 anni, oltre a bambini e adolescenti.

Si sta pian piano disintegrando il concetto di competenza, molti, nel web, sono tuttologi ed è ormai divenuto, anche, foriero delle peggiori pulsioni umane che sfociano, a dir poco, nella più pericolosa inconsistenza sino ad alimentare le azioni più pericolose. Anche su questa sfida, ovvero, alimentare e conservare la “buona” digitalizzazione delle cose, il nostro Paese deve vincere la sfida per il domani.

Ma non mi soffermo oltre su analisi socio-politiche, economiche che possono essere argomenti di altre riflessioni ma sui dati, appunto, che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.

Ritornando ai numeri quindi, in Italia, questo periodo è stato caratterizzato da bassissimi tassi di crescita, anche in confronto alla già non elevata media dei Paesi occidentali e, in particolare, europei. Il tasso medio di crescita del Pil in questo ultimo decennio è stato infatti in media dello 0,26%, contro l’1,7% dell’Unione europea nel suo complesso.

Inoltre, l’Italia ha fortemente risentito della crisi con una pesante contrazione della domanda interna, non compensata dalle esportazioni, sulle quali si basa una parte consistente della sua economia, per via del rallentamento globale. In particolare, l’Italia è stata uno dei pochi Paesi a registrare una crescita negativa ed è stato tra i Paesi del G7 che ha subito una maggiore contrazione del Prodotto interno lordo.

La popolazione italiana, (sempre fonte Istat), al 1° gennaio 2021 conta 59.258.000 persone, circa 384mila in meno di quelle che si avevano un anno fa. Nel corso del 2020 c’è stato un record minimo di nascite, un alto numero di decessi, un basso saldo migratorio e l’età media si è ulteriormente alzata.

Nel 2020 per il settimo anno consecutivo la popolazione italiana è calata: si è passati da un record di 60,3 milioni di residenti nel 2014 ai 59,3 milioni di adesso. Nel corso del 2020 tutte le regioni hanno visto un calo della popolazione con l’eccezione del Trentino-Alto Adige. Il calo ha colpito tutte le zone d’Italia, ma in particolar modo il Mezzogiorno (-0,7%) rispetto al Centro (-0,64%) e al Nord (-0,6%). Molise (-1,3%) e Basilicata (-1,0%) sono le regioni più colpite e tra quelle del Nord spiccano Piemonte (-0,9%), Valle d’Aosta (-0,9%) e soprattutto Liguria (-1%).

Poi…nel 2020 è arrivata la pandemia del Covid-19, con tutto quel che ne è conseguito. Lo scorso 17 marzo proprio in occasione delle celebrazioni del 160° anniversario dell’unità d’Italia, la “Giornata dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera, il presidente Mattarella ha ricordato che “il coronamento del sogno risorgimentale ha suggellato l’identità di nazione, che trae origine dalla nostra storia più antica e dalla nostra cultura. Le generazioni che ci hanno preceduto, superando insieme i momenti più difficili, ci hanno donato un Paese libero, prospero e unito”.

Inoltre, ha affermato che “l’Italia, colpita duramente dall’emergenza sanitaria, ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione”. Infine “la repubblica, per scelta degli italiani, è la massima espressione dell’unità nazionale e l’inno e la bandiera sono i simboli più cari e riconosciuti della nostra Patria. La celebrazione ci esorta nuovamente a un impegno comune e condiviso, nel quadro del progetto europeo, per edificare un Paese più unito e solido, condizione necessaria per una rinnovata prosperità e uno sviluppo equo e sostenibile”

È tempo dunque di scelte decisive e non giochetti di basso riposizionamento per avere un po’di visibilità e qualche follower in più. Dobbiamo migliorare tutti, tutti nessuno escluso. Riuscire a scalfire decisamente sia una burocrazia asfissiante e improduttiva e sia la sempre eterna furbizia italica che porta, come purtroppo possiamo constatare anche in questi giorni, a tragedie evitabilissime.

Da chi ha responsabilità pubbliche al semplice cittadino, tutte le categorie, tutti gli attori dei settori cardini sia pubblici che privati, nessuno può disertare! Superare il corporativismo atavico e la conservazione dello status quo a tutti i costi.

Progetti di vasto respiro e pianificazione concreta e competente dei progetti e delle riforme da fare altrimenti anche i fondi del Next generation Eu possono essere a rischio. Forse si è dimenticato che i fondi arriveranno se i progetti e le riforme saranno validi, utili, realizzabili. Per esempio, su giustizia, fisco e concorrenza ottenere i fondi non sarà così facile.

In occasione del 75 °Anniversario della repubblica italiana, se si vuole onorare, davvero, la Res Publica, ricordiamoci che una Italia migliore non potrà esistere senza donne e uomini migliori.

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