Adesso che lentamente stiamo tornando alla normalità arriva il momento in cui il paziente deve tornare a vivere sulle proprie gambe senza più aiuti e sostegni. L’analisi di Leonardo Becchetti
La ripresa a V che era ragionevole aspettarsi per molti motivi sta arrivando. Questa crisi è profondamente diversa dalla crisi finanziaria globale del 2008 cui seguì poi per il nostro paese una lunga recessione e la crisi dello spread. Quello shock fu asimmetrico, colpì alcuni paesi dell’Unione Europea più di altri e andò direttamente a distruggere risparmi producendo un effetto depressivo sui consumi.
Lo shock della pandemia ha colpito invece in modo molto più simmetrico tutti i paesi europei facendo scattare un senso di solidarietà comune che ha portato alla rivoluzione di Next Generation Eu e all’inizio di emissioni obbligazionarie comunitarie per finanziare iniziative comuni come il Sure. Il tutto supportato da un aumento significativo di attivismo della Bce che, seguendo il sentiero percorso anche da altre banche centrali di paesi ad alto reddito, ha acquisito fino ad un quarto dei debiti pubblici nazionali esercitando un effetto calmierante sui tassi e sullo spread rendendo i debiti sostenibili nonostante il loro sensibile aumento durante la pandemia.
Con queste premesse il paradosso della crisi è stato quello di avere contemporaneamente lo shock più grave dal secondo dopoguerra ad oggi assieme alla maggiore disponibilità di risorse pubbliche (non a caso si fanno similitudini con il piano Marshall non considerando che il valore di Next Generation Ue è diverse volte superiore).
Con le risorse generate da maggiori deficit e debito pubblico sono stati pagati sostegni e casse integrazioni, ovvero gli antidolorifici che hanno tenuto in salute il paziente in un momento così difficile. Di conseguenza durante questa crisi il risparmio degli italiani, invece che essere stato bruciato come ai tempi dei derivati sul credito, è aumentato di circa 82 miliardi e dunque la dinamica dei risparmi rappresenta in questo momento un propellente e non un freno alla ripresa.
Adesso che lentamente stiamo tornando alla normalità arriva il momento in cui il paziente deve tornare a vivere sulle proprie gambe senza più aiuti e sostegni. Per evitare che la rimozione di aiuti e sostegni abbia effetti marcati sulla disoccupazione si intende far leva su misure come i contratti di solidarietà (che ripartiscono tra tutti i lavoratori gli shock e sono utili soprattutto in presenza di cali limitati di domanda che non mettono in discussione la vita stessa dell’azienda), contratti di espansione (che favoriscono il ricambio generazionale attraverso scivoli e nuovi ingressi senza passare per i licenziamenti) e i contratti di rioccupazione che offrono alle aziende strumenti flessibili e meno costosi per valutare se assumere nuovi lavoratori in prova.
Per questo motivo, disponendo anche di questi strumenti, bisogna stare attenti a non prolungare eccessivamente l’uso delle misure di blocco del licenziamento che frenano i naturali processi di riallocazione del lavoro tra settori ed imprese che sono fisiologici nei sistemi economici. Un problema serio nel nostro mercato del lavoro non è la mancanza di domanda di lavoro in assoluto quando piuttosto il suo contrario, ovvero il mismatch che lascia molti posti di lavoro vacanti e domande inevase per la mancata corrispondenza tra le qualifiche richieste dal datore di lavoro e quelle offerte dal lavoratore. Il problema del mismatch si sta estendendo in questi ultimi tempi ai lavori a bassa qualifica per la difficoltà di assumere stagionali stranieri e per la resistenza dei percettori del reddito di cittadinanza ad accettare posti di lavoro a salari equivalenti o poco più elevati del sussidio.
Le vere medicine di lungo periodo per il nostro mercato del lavoro non sono il prolungamento delle regole sul blocco dei licenziamenti. Sono piuttosto il successo delle riforme e delle politiche d’investimento impostate in Next Generation EU e un miglioramento dei percorsi di istruzione, orientamento inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, formazione permanente degli adulti che possono qualificare la nostra manodopera e superare il problema del mismatch. Una riforma del reddito di cittadinanza con una dote al momento in cui si esce dalla protezione e si accetta un nuovo lavoro può aiutare a superare gli effetti perversi della rete di protezione sulla ricerca di lavoro da parte dei percettori del reddito.