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Caramelle dai conosciuti. Pagano racconta l’Italia noir dei nostri giorni

Dal razzismo, all’estremismo, dalla dura realtà di parti della società dimenticate all’informazione che diventa disinformazione, conversazione con Aldo Pagano, autore del noir Caramelle dai conosciuti. Un’indagine di Emma Bonsanti, edito da Piemme edizioni. “Ad oggi il vero avversario grosso di chi crede nella democrazia liberale è il populismo. Che può essere di destra o di sinistra, indifferentemente”

Siamo nel mese di maggio dello scorso anno, in piena riapertura post lockdown, nel quartiere Libertà di Bari, luogo dove pregiudizi ma anche falsi miti si fanno avanti nella quotidianità. Il cadavere di Matteo Cardone, proprietario del circolo culturale Hobbit, viene ritrovato con la gola recisa. La comunità è in subbuglio: considerato un benefattore dalla povera gente del rione, un delinquente da molti altri.

Ma un’indagine non può essere inquinata da preconcetti e anche se tutti i tasselli sembrano portare verso il colpevole immigrato e di colore, il sostituto procuratore Emma Bonsanti intuisce che gli indizi per risolvere il caso portano a una storia ben più complessa.

Un noir dei nostri giorni, quello che racconta Aldo Pagano nel suo ultimo romanzo, “Caramelle dai conosciuti. Un’indagine di Emma Bonsanti”, edito da Piemme edizioni. Tra ironia e ferocia, l’autore, ex giornalista ed ex sommelier, ha una scrittura che si avvicina molto a quella cinematografica. Ritrae efficacemente la psicologia dei personaggi e affresca in maniera realistica un contesto con tutte le sue sfaccettature. Dal razzismo, all’estremismo, dalla dura realtà di parti della società dimenticate alla informazione che diventa disinformazione. Formiche.net ha raggiunto l’autore per una conversazione a tutto tondo: “Ad oggi il vero avversario grosso di chi crede nella democrazia liberale è il populismo. Che può essere di destra o di sinistra, indifferentemente”.

Pagano, il suo è un noir dei nostri giorni. I temi che lei tocca spesso fanno parte della cronaca nera dei nostri quotidiani. C’è stato qualche fatto che l’ha ispirata particolarmente?

I riferimenti diretti e indiretti ai fatti di cronaca nazionali e internazionali ci sono. In fondo il razzismo, la xenofobia affondano le loro radici in tempi chiari. Se poco prima delle elezioni nazionali a Macerata si spara contro persone di colore, noi questo episodio possiamo chiamarlo come vogliamo, ma convenzionalmente è un chiaro evento di stampo razzista che nasce, cresce e prospera in un humus di odio e paura che viene instillata. Nelle periferie delle grandi città, quello di cui io parlo nel mio libro è talmente specchiato che a volte mi sembra di parlare di temi scontati. Noi facciamo sempre finta di non sapere come nascono, crescono e come diventano queste situazioni. Invece di esempi ce ne sono tantissimi.

Ce ne racconta uno?

Nel mio romanzo racconto di un villaggio umbro dove gli abitanti insorgono contro 8 donne e 12 bambini immigrati. Nella realtà accadde la stessa cosa in un paesino dell’Emilia Romagna, in un periodo non legato al turismo quindi fuori stagione come fine ottobre, vennero accolti dalle barricate in mezzo alla strada, per impedire loro l’accoglienza, 12 donne profughe. Si è costruito e si sta costruendo un muro di odio ispirato da qualcuno che è molto più intelligente delle persone che poi vanno dietro a queste idee.

Lei in questo romanzo pone l’accento su due virus: il Covid e il razzismo. Esistono negazionisti per entrambi. I fatti di cronaca ci raccontano manifestazioni di persone che non credono alla pandemia, ma anche episodi di violenza dettati dal razzismo. A volte come società preferiamo non vedere e girarci dall’altra parte?

Sì, ma ritengo sia umano. È umana anche la paura. E tutta una serie di vicende che ora leghiamo all’arrivo del Covid, sono preesistenti a questo virus. Il Covid è una lente di ingrandimento e la pandemia ha fatto deflagrare dei problemi che sono dentro un sistema economico che ha stravinto in tutto il mondo occidentale: ovvero l’iperliberismo. Tutte queste ansie, l’odio instillato, ma anche il neo-fascismo sono figli di un sistema economico. Manovrare la paura e dopo l’odio delle persone può far ottenere dei risultati. Lo stiamo vedendo nel campo del razzismo, ma anche per quanto riguarda il Covid.

In che modo?

In Italia, e non solo, basti pensare agli Stati Uniti, molte volte i negazionisti del virus e razzisti sono esattamente le stesse persone. Il problema giunge quando però a sinistra si diventa negazionisti con spirito ribellista o neo-adolescenziale, e ci si appella a questo spirito ribelle del tutto artificioso per inventarsi emergenze di dittature sanitarie totalmente inesistenti che portano acqua solamente al mulino degli estremisti di destra.

“Caramelle dai conosciuti” si svolge in una città del sud, in un luogo ad oggi dismesso che forse rinascerà con nuovi progetti, la Manifattura Tabacchi che lei definisce “immensa cattedrale operaia”. Un luogo simbolo della crisi del sud che la pandemia ha ancora più accentuato?

Sì e no perché sicuramente c’entra il sud per come lo conosco io, e in particolare parlo di Palermo e Bari, città a cui sono molto legato. Ma la crisi non riguarda solo il sud. La Manifattura mi piace pensare che sia simbolicamente in ripresa perché dovrebbe sorgere in essa un polo di ricerca del Cnr, 700 ricercatori, con tutte attività correlate per dare vita, si spera, a un progetto davvero importante e bello.

Parlava quindi di un parallelo fra Palermo e Bari.

Per tanti versi Palermo e Bari hanno avuto uno sviluppo simmetrico, dove la prima ha seguito il recupero della seconda. Quando vivevo a Bari tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta il centro storico era infrequentabile. Adesso oltre a essere bellissima, Bari vecchia è anche un posto molto sicuro. Palermo era rimasta indietro, ma poi per fortuna per scelte amministrative il capoluogo siciliano è stato recuperato. Con una ripresa spettacolare del sud che vuole darsi da fare. Non c’è solo il pubblico, c’è anche il privato con tutta una serie di attività, come ad esempio il turismo, che riesce a dare un messaggio positivo di ripresa.

In alcuni strati sociali, dove non ci sono sbocchi per lo sviluppo economico, è facile però far permeare risentimenti e odio. In questo l’estremismo di destra che lei descrive ha un duplice aspetto: il primo è che dando aiuto alle famiglie del quartiere, “complice” la pandemia, si fa portavoce dei bisogni dei più deboli; il secondo è che comunque indica una strada alle persone composta da ideologie pericolose.

La pandemia ha complicato le cose, sì. Ma ci tengo a precisare che il mio non è un libro sul Covid, che è affrontato in maniera accidentale proprio per parlare dei virus che ci hanno colpito. Secondo me quindi diversi sono gli aspetti da considerare. C’è una difficoltà, che sconfina nella latitanza, della sinistra classica a sentire il disagio delle classi meno abbienti. La sinistra è avulsa da meccanismi contemporanei economici, culturali e sociali. Però c’è anche a mio avviso alla base una complicazione data dalla rapidità delle informazioni. Se passa il concetto che con i 140 caratteri di Twitter si possa formulare un pensiero completo, già questo è un assist alla destra che procede per semplicismi.

Perché?

Perché nel momento in cui devi spiegare una situazione complessa a una persona che vive in un quartiere dove aveva un lavoro precario che col Covid non ha nemmeno più, tu sinistra hai la responsabilità di non essere più in comunicazione con quell’individuo. Dall’altra parte invece se sono intelligente e diabolico ti dico che tu del quartiere Libertà sei circondato di immigrati che ti portano via il lavoro, che violentano le donne e portano malattie. Se ripeto costantemente questi concetti, ti sto dando una ragione molto chiara che è sotto i tuoi occhi tutti i giorni. Se non si hanno gli strumenti per ragionare diversamente, comincio a spiegarmi perché io sono così in difficoltà. La colpa non è mia, ma se qualcuno mi indica una motivazione del mio stato in quegli immigrati che arrivano qui per cambiare l’etnia in Europa, comincio a crederci. Discorsi, però, che fanno coloro che stanno benissimo. Si pensi all’ex presidente degli Stati Uniti d’America Trump che pur essendo tra gli uomini più ricchi del mondo, venendo dalle migliori scuole, sosteneva di non essere élite. Tollerare questo vuol dire per la sinistra avere molti problemi.

Cosa si può fare, dal suo punto di vista, per far sì che soprattutto i giovani non si lascino sedurre dal canto di queste sirene?

Uno scrittore penso che debba porre delle domande più che dare risposte, ma non mi sottraggo alla domanda. Quando si dice che con la cultura non si mangia si dice una cosa sciocca e inesatta, perché con la cultura non solo si mangia, ma si mangia anche nel futuro. L’uomo è un “animale” e deve avere una forza disperata e angosciante per cercare di non deragliare. E ci vogliono degli sforzi collettivi affinché si allontanino l’approssimazione, il semplicismo, la facilità di fare denaro senza merito. Un tempo c’era sia a destra sia a sinistra la volontà di approfondire i temi e di conoscerli, poi certamente c’erano tante altre cose, ma questa volontà era forte. Cosa che non vedo oggi. Ma non per colpa dei ragazzi.

Ragazzi che lei ha avuto modo di conoscere per il suo secondo romanzo, “Motivi di famiglia”, dove troviamo sempre Bonsanti, e che ha gli adolescenti fra i suoi protagonisti.

Sì, dopo una serie di interviste a decine di adolescenti ho potuto capire che tanti ragazzi di oggi sono migliori di quelli della mia generazione. Non però nell’approfondimento, come dicevo, perché hanno una fruizione veloce della cultura e del piacere. Ma la velocità è nemica della conoscenza, basti pensare che molti in Italia e non solo usano come unica fonte di informazione i social. Secondo me per molti versi il padre e la madre di molti “orrori” contemporanei derivano dal credere che uno vale uno. Uno non vale uno, e non varrà mai uno e pensarla così aumenta il deserto di conoscenza di oggi perché essere bombardati da migliaia di informazioni equivale a non avere informazione. A meno che tu non abbia gli strumenti. Ma se i ragazzi non hanno gli strumenti è colpa nostra, non loro.

La Rete è un “non luogo” che va maneggiato con cura infatti, bisogna avere strumenti per districarsi al meglio nei social network più utilizzati, fino alle estreme situazioni legate al dark web. Che idea si è fatto proprio di questo mondo che corre a una velocità esorbitante?

Nel mio libro affronto questi temi e mi sono avvalso dell’aiuto di alcuni consulenti e uno di questi lavora proprio con la Polizia. Per quanto riguarda il dark web è utile specificare che l’idea che abbiamo che sia un supermarket della criminalità non corrisponde esattamente alla realtà. Viene utilizzato anche in Paesi come la Cina o in altri sottoposti a dittatura per far circolare informazioni che in canali ufficiali non troverebbero spazio. L’altro lato sicuramente è quello che mi è stato descritto come squallido e feroce, dove anche i giovani entrano per curiosità, ma vengono poi distrutti.

È facile per i ragazzi imbattersi in qualcosa di più grande di loro a volte.

Questo però perché non si hanno appunto gli strumenti di cui parlavamo. Nel mondo c’è un forte distacco tra genitori e figli e dal punto di vista della tecnologia è enorme. La chiave è il dialogo, prima ancora delle restrizioni che si possono inserire sul cellulare o sui computer. La costruzione di un rapporto in cui sei tu genitore che metti di fronte tuo figlio alle situazioni, senza impedire ma spiegando e parlando per fargli capire che si può anche sbagliare. Ad esempio fra le decine di ragazzi che venivano dal riformatorio e che ho ascoltato per il libro Motivi di famiglia, tutti quanti mi hanno detto che avrebbero voluto parlare di più con i loro genitori, volevano sentire di più la loro presenza.

La sua protagonista, Emma Bonsanti, è un sostituto procuratore che già conosciamo proprio dai suoi precedenti romanzi, La trappola dei ricordi e il già menzionato Motivi di famiglia. Un profilo molto forte, con le sue debolezze ma idee molto chiare. Com’è stato entrare nella psicologia di una donna che tra l’altro affronta un mondo di uomini?

Emma è un personaggio che è ispirato a tre donne che nella mia vita ho perso per strada, e il tentativo era di partire da loro e creare poi una figura che avesse anche la parte femminile che è in me. Quando è un uomo che scrive un personaggio femminile rimangono atteggiamenti maschili nell’affrontare le sue avventure, oppure fragilità clamorosamente femminili datate. Le donne hanno una forza e un pragmatismo che non viene affatto fuori in tantissimi romanzi e io volevo invece tentare di rendere Emma vera con una parte di me, una parte di queste tre donne della mia vita, e quello che vedo ogni giorno tra le mie amiche e il loro modo di essere. Il tentativo è stato quello di dare vita a un personaggio che non fosse un uomo con la gonna.

Secondo lei a distanza di un anno, dal momento che Emma è una che fin da subito ha preso sul serio il Covid, che direbbe: ne siamo usciti migliori da questa pandemia o c’è ancora tanta strada da fare?

Emma non è proprio un esempio di ottimismo (ride, ndr). Per dirla come Marco Bracconi che riporta lo stesso periodo del mio romanzo ma in un saggio, il Covid può sì peggiorare la situazione, ma da solo non ha portato qualcosa di nuovo, si è solo inserito in un problema preesistente come quello della tecnologia. Di nostro noi se ci lasciamo andare tendiamo a peggiorare. La pandemia ci sta portando a stravolgere il nostro modo di essere animali sociali ed è questa la cosa più pericolosa, non le ottusità sul regime dittatoriale sanitario, ma il predominio totale della tecnologia che ci sta portando a restarcene chiusi in casa a prescindere. Pensiamo alle presentazioni dei libri fatte sul web anziché dal vivo in libreria. Secondo me se riuscissimo a sottrarci alla vera dittatura tecnologica, magari ne usciremmo migliori, ma Emma direbbe che noi siamo così perciò forse non ci riusciremo facilmente.

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