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Palla al centro. Cosa (non) ha risolto il summit Biden-Putin

Più di tutto voleva una cosa: il riconoscimento. A Ginevra Vladimir Putin passeggia come pari a pari di Joe Biden, riapre al dialogo, bacchetta e provoca. Biden torna al tavolo, ma traccia chiare linee rosse. Oltre quelle la Russia non può e non deve andare. Il commento di Giovanni Savino (Accademia presidenziale russa, Mosca)

Il summit di Ginevra tra Joe Biden e Vladimir Putin non è l’inizio di un reset totale dei rapporti, ma rappresenta un importante primo passo verso la ripresa di un dialogo tra Washington e Mosca. Putin nella sua conferenza stampa dopo il vertice, durato circa quattro ore, ha definito il presidente americano “un leader costruttivo”, ma ha ribadito che non ha nessuna illusione, sottolineando di non averne avute neanche prima.

Durante il summit si sono toccati diversi punti, alcuni anche inattesi, come lo status di “agente straniero” di Radio Svoboda, media finanziato dagli Stati Uniti, e Russia Today, a sua volta riconosciuta come agente straniero in America. Una varietà di argomenti che parrebbe indicare un tentativo di saggiare il terreno e capire quali punti possano essere negoziabili e quali no, per giungere in seguito a nuovi incontri e a proposte ben più concrete.

Dal vertice infatti è venuto fuori solo un documento, una dichiarazione comune dei due presidenti sulla stabilità strategica, dove si è ribadita l’importanza di evitare passi arrischiati e si è ricordato come da un conflitto nucleare non vi possano essere dei vincitori.

Nella conferenza stampa Putin, apparentemente di ottimo umore, ha però rivendicato alcuni passi compiuti dal Cremlino negli ultimi anni, sostenendo, nella risposta a una domanda del corrispondente della Bbc, come ad essere imprevedibili siano stati negli ultimi anni gli Usa, con decisioni repentine, come l’uscita dagli accordi sulla non proliferazione e sui cieli aperti, e ha criticato il sostegno americano al “colpo di Stato” in Ucraina.

Un modo per ribadire che la Russia è una potenza indipendente dal giudizio americano, in grado di badare ai propri interessi e di avere il diritto di poter decidere cosa fare nella propria politica interna. In questo senso i passaggi a proposito del caso Navalny e di Black live matters son serviti a mettere in chiaro questi aspetti.

Di concreto al momento vi è il ritorno dei rispettivi ambasciatori  nelle sedi diplomatiche (Mosca ha già annunciato il rientro negli Stati Uniti del proprio rappresentante entro la fine di giugno), l’avvio di consultazioni sulla cybersicurezza, il possibile accordo su uno scambio di detenuti e il riconoscimento reciproco dei vaccini. Poco, tanto? Di sicuro è la ripresa di un dialogo, che potrebbe vedere sviluppi inattesi nel corso del tempo.

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