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Il ponte, un moltiplicatore per commercio ed economia. Scrive Matteo Salvini

Di Matteo Salvini

Le merci viaggiano su infrastrutture capaci di superare gli ostacoli della geografia, rispettando le tabelle di marcia della produzione industriale. Se queste infrastrutture non esistono o sono carenti, si preferisce dilatare i tempi di navigazione pur di arrivare in un Paese dove lo smistamento possa godere di adeguati corridoi dedicati. L’articolo di Matteo Salvini per il numero di giugno di Formiche

Quando si parla di ponte sullo Stretto, l’errore tipico è quello di restringere il ragionamento su fattibilità, costi e benefici, nei pochi chilometri che separano Calabria e Sicilia. In questo modo si finisce per annaspare tra polemiche e divisioni, perduti in un esile braccio di mare esattamente come nel bicchiere d’acqua del famoso proverbio.

È inutile ragionare di ponte, se prima non si prende piena consapevolezza che l’origine di questa storia non è né a Messina, né a Reggio Calabria, ma va cercata molto più lontano: nei grandi traffici di merci che dai mari d’oriente raggiungono il Mediterraneo attraverso il canale di Suez.

Basta osservare il volume di queste rotte e chiedersi il motivo per cui, ad oggi, un bastimento carico di container diretto verso il centro Europa preferisca, nella grande maggioranza dei casi, evitare lo sbarco sulle nostre coste per dirigersi oltre Gibilterra, circumnavigare l’intero vecchio continente e sbarcare infine ad Amburgo o negli altri porti del nord. Tutto ciò appare evidentemente illogico, eppure accade.

Perché? Perché mai la nostra penisola non riesce ad attirare la gran parte delle rotte commerciali? La risposta è molto semplice, elementare: perché le merci non viaggiano da sole, viaggiano su infrastrutture capaci di superare gli ostacoli della geografia rispettando le tabelle di marcia della produzione industriale.

Se queste infrastrutture non esistono o sono carenti, è ovvio che si preferisca dilatare i tempi di navigazione pur di arrivare in un Paese, non a caso la Germania, dove lo smistamento della merce possa godere di adeguati corridoi dedicati. È soltanto tenendo a mente questo quadro che si comprende, con immediatezza, quanto sia fondamentale per noi la realizzazione del ponte sullo Stretto.

All’Italia non resterebbe che coglierne le immediate ricadute positive, tra le quali si stimano circa centomila posti di lavoro all’anno in fase di costruzione, ai quali sommare il potenziale salvataggio dell’Ilva di Taranto che potrebbe fornire l’acciaio necessario alla struttura.

Su quale metodo adottare è un altro ponte a indicarci la via: il ponte Morandi, ricostruito a tempo di record grazie a una procedura straordinaria, il cosiddetto “modello Genova”, che ha dimostrato di funzionare e che deve essere una guida non solo per lo Stretto, ma anche per tutte le altre opere con cui creare un vero e proprio sistema di infrastrutture capace di concorrere con i porti del nord Europa.

L’Italia è frenata da troppa burocrazia, figlia anche di quella sciagura chiamata Codice degli appalti: la nostra sfida per il futuro è sfrondare, adottando un modello più snello ed efficiente come avviene nel resto d’Europa. Non solo nuove opere. Ma anche manutenzioni tempestive ed efficaci: anche la recente tragedia della funivia del Mottarone ci impone di puntare su sicurezza e innovazione.

I fondi europei devono servire anche per questo! Ecco il nostro sogno. Progetto, finanziamento, cantiere: ponte sullo Stretto. Progetto, finanziamento, cantiere: corsia dell’autostrada. Progetto, finanziamento, cantiere: alta velocità ferroviaria per merci e persone da Roma fino a Reggio Calabria e alla Sicilia, con un dimezzamento dei tempi di percorrenza dalle dodici ore attuali a sei.

Contestualmente ciò produrrà un potenziamento anche dei porti di Gioia Tauro, Messina e Palermo. Soltanto così il nostro Paese ripartirà, da nord a sud, grazie alla concretezza di territori che saranno finalmente inseriti nei flussi di ricchezza e benessere che oggi veleggiano altrove.

Soltanto così potremo dire ai nostri figli e ai nostri nipoti che la generazione di cui facciamo parte, la prima chiamata a fare i conti con una vera crisi dal dopoguerra, ha saputo ricostruire un futuro dove bellezza ed efficienza non sono più polarità opposte, ma motori trainanti del nostro sviluppo.

Uno sviluppo che guarda avanti, che sa cucire le distanze e le differenze, trasformandole in ricchezza. Un futuro all’insegna del coraggio e della sicurezza e che saremo fieri di indicare nel simbolo per antonomasia del rapporto che ci tiene insieme, come italiani, nella stessa storia, generazione dopo generazione. Un ponte con cui l’Italia tornerà al posto che le spetta tra le nazioni del mondo.

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