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Le nuove regole europee su fake news e Big Tech lette da Razzante

L’Ue potenzia le azioni di contrasto alle fake news, ma non è una tiratina d’orecchie alle grandi piattaforme, come scrive qualcuno. Secondo Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma, è il momento di spingere sull’autoregolamentazione degli utenti

Nei giorni scorsi si è avuta notizia di una iniziativa della Commissione europea in materia di azioni di contrasto alle fake news. Il Codice di buone pratiche sulla disinformazione meritava un “tagliando” dopo lo tsunami del Covid, che ha contaminato profondamente la circolazione delle informazioni e ha moltiplicato i tentativi di produzione e diffusione di notizie false, peraltro su un tema cruciale come la salute.

E questo “tagliando” è arrivato in termini di rafforzamento dei principi e di allargamento della platea dei destinatari, attraverso la pubblicazione di precisi e perentori orientamenti della Commissione su come rafforzare il Codice di autoregolamentazione del settembre 2018 per renderlo ancora più efficace.

Tale Codice, agli occhi di alcuni osservatori, era apparso più che altro un insieme di policy aziendali riunite in un documento generale, con scarsa efficacia ai fini delle politiche di prevenzione e contenimento della disinformazione e del suo monitoraggio. Un aggiornamento, dunque, si imponeva.

Qualche commentatore ha voluto leggere in questa iniziativa europea una sorta di tiratina d’orecchie nei confronti dei colossi del web, colpevoli di aver abbassato la guardia in materia di infodemia e di aver dimostrato una insufficiente capacità di contrasto alla disinformazione e alla sua monetizzazione.

E’ quanto si legge tra le righe prestando attento ascolto al monito di Thierry Breton, Commissario per il Mercato interno: «La disinformazione non può continuare a essere fonte di reddito. Abbiamo bisogno di impegni più rigorosi da parte delle piattaforme online, dell’intero ecosistema pubblicitario e della rete di verificatori di fatti. La legge sui servizi digitali ci fornirà nuovi e potenti strumenti per contrastare la disinformazione».

Tuttavia sarebbe riduttiva una simile chiave di lettura. E’ invece verosimile che l’Ue abbia voluto, con lungimiranza, riposizionare il dibattito sulle fake news nel contesto più generale della costruzione di un nuovo ecosistema digitale post-Covid.

Alla base delle valutazioni fatte dall’Ue c’è la consapevolezza che non si possa e non si debba attribuire al diritto nel suo complesso un potere taumaturgico nel contrasto alla disinformazione. I rimedi contro la circolazione virale delle fake news devono essere sì giuridici, ma anche deontologici, tecnologici e culturali. E l’autoregolamentazione degli utenti può rivelarsi decisiva, purché stimolata opportunamente dalle istituzioni, anche quelle scolastiche, e dalle aziende che operano in Rete.

Lo strumento del diritto non può da solo arginare un fenomeno che ha dimensioni devastanti e incalcolabili. Anche perché esiste una evidente difficoltà nell’individuare i reali responsabili delle fake news. Queste possono infatti essere originate sia da utenti reali che da robot, i quali sfruttano la profilazione degli utenti variamente effettuate dagli algoritmi per influenzare singoli e gruppi di utenti. Tale profilazione peraltro permette una previa selezione dei soggetti a cui indirizzare la notizia.

Inoltre, le fake news beneficiano per la loro diffusione di una terza categoria di soggetti: gli individui che, consapevolmente o meno, le diffondono. Ed è su questo terreno che la dimensione della corresponsabilità va coltivata, attraverso quel “coro polifonico” di sensibilità e azioni in grado di coinvolgere tutti gli attori della filiera di produzione e distribuzione di contenuti in Rete, internauti compresi, senza caricare di aspettative eccessive il mondo degli Over the top, che pure è magna pars in questa battaglia.

In altri termini, combattere il fenomeno delle fake news non può essere una sfida di qualcuno contro qualcun altro ma una crociata globale nella quale ognuno è chiamato a fare la sua parte. E’ importante combattere quelle organizzazioni che per finalità politiche e commerciali sono impegnate con sistematicità nella divulgazione di notizie false, ma il traguardo dev’essere più ambizioso e di sistema. L’orizzonte cui tendere dev’essere quello della realizzazione di uno spazio virtuale più inclusivo, democratico, sicuro e in grado di tutelare i diritti individuali e collettivi.

Gli orientamenti resi noti nei giorni scorsi stabiliscono le aspettative della Commissione, responsabilizzano maggiormente le piattaforme firmatarie e prevedono una più ampia adesione al Codice. Sulla base di indicatori di performance chiari e di un solido quadro di monitoraggio, i firmatari dovrebbero ridurre gli incentivi finanziari alla disinformazione, coinvolgere maggiormente gli utenti affinché assumano un ruolo attivo nel prevenirne la diffusione, cooperare più efficacemente con i verificatori di fatti in tutti gli Stati membri e in tutte le lingue dell’Ue e predisporre un quadro per l’accesso ai dati da parte dei ricercatori.

Come ha chiarito Věra Jourová, Vicepresidente per i Valori e la trasparenza, «c’è bisogno di un nuovo Codice rafforzato: è infatti necessario che le piattaforme online e gli altri soggetti affrontino i rischi sistemici inerenti ai loro servizi e all’amplificazione algoritmica, senza limitarsi a controllare unicamente se stessi, e che smettano di consentire lo sfruttamento della disinformazione a fini di profitto, tutelando nel contempo pienamente la libertà di parola».

Rafforzare il Codice del 2018 vuol dire, quindi, almeno tre cose:

  • Promuovere l’adesione al Codice da parte delle piattaforme consolidate ed emergenti attive nell’Ue, le parti interessate che operano nell’ecosistema della pubblicità online (ad es. scambi di inserzioni pubblicitarie, fornitori di tecnologia pubblicitaria, marchi che beneficiano della pubblicità), i servizi di messaggistica privata e tutti coloro che possono apportare risorse o competenze per contribuire ad un funzionamento efficace del Codice. Il Codice rafforzato dovrebbe prevedere nuovi impegni specifici commisurati alle dimensioni dei firmatari e alla natura dei servizi che prestano.
  • Alimentare uno spirito di “mutuo soccorso” tra piattaforme e soggetti attivi nell’ecosistema pubblicitario online, affinché al circuito perverso della disinformazione si possano chiudere progressivamente i rubinetti del sostegno economico. In che modo? Migliorando la trasparenza e la responsabilità rispetto alle inserzioni pubblicitarie e proibendo la partecipazione di coloro che si sono “macchiati la fedina” pubblicando contenuti fake. Tra le iniziative comuni delle piattaforme anche un monitoraggio delle forme di manipolazione praticate dai diffusori di fake news, dai bot agli account falsi, dall’appropriazione indebita di account alle campagne di manipolazione organizzate. Le piattaforme dovrebbero riferire periodicamente alla Commissione sulle misure prese e sui corrispondenti indicatori di prestazione. Le piattaforme dovrebbero fornire informazioni e dati disaggregati a livello di ogni singolo Stato membro e in formati standardizzati.
  • Fornire agli utenti strumenti per individuare e segnalare la disinformazione. Senza introdurre meccanismi censori, i firmatari del Codice devono facilitare la navigazione in sicurezza degli utenti, rendere sempre più facilmente riconoscibili e rintracciabili i contenuti fake e di dubbia autenticità e potenziare la visibilità delle informazioni attendibili di interesse pubblico. Per assicurare un sistema bilanciato di garanzie individuali, gli utenti i cui contenuti o account siano oggetto di misure adottate in risposta a segnalazioni di utenti, dovrebbero avere accesso a un meccanismo di ricorso adeguato e trasparente per far valere i propri diritti.

Negli orientamenti della Commissione sono infine previsti anche un Centro per la trasparenza, presso il quale i firmatari dovrebbero comunicare quali politiche hanno adottato per dare esecuzione agli impegni previsti dal Codice e come le hanno attuate e una task force permanente presieduta dalla Commissione e composta dai firmatari, da rappresentanti del Servizio europeo per l’azione esterna, del gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi e dell’Osservatorio europeo dei media digitali (Edmo), che ha ricevuto oltre 11 milioni di euro destinati alla creazione di 8 poli regionali per contribuire allo svolgimento e all’ampliamento delle sue attività negli Stati membri.

Le prossime tappe saranno decisive per comprendere come questa preziosa iniziativa dell’Ue verrà accolta tra gli addetti ai lavori e le parti in causa. Intanto, però, il dibattito sulle fake news è ripartito, ed è un bene, perché la vigilanza sulla circolazione dei contenuti fuorvianti e manipolati riguarda tutti, in primis gli utenti che – va sempre ricordato – sono prosumer, produttori e consumatori di informazioni nel web e sui social.

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