L’Unione europea ha posto una drastica riforma delle giustizia come condizione per il finanziamento del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Ecco cosa dovrebbe essere modificato, perché e come ci si sta muovendo
Pierluigi Ciocca, che non può certo essere considerato contiguo al centrodestra o ai radicali, sottolinea che una determinante importante delle due fasi in cui nel Novecento in cui l’Italia venne contrassegnata da buona crescita economica (l’età Giolittiana, e “il miracolo economico”) è stato un diritto dell’economia semplice e trasparente ed una sua gestione da parte di una magistratura che godeva di autorevolezza e stima da parte dei cittadini. La Banca mondiale non può certo essere neanche lei contigua ai radicali e al centrodestra della nostra Italietta; nella classifica dell’indicatore Doing Business il nostro Paese è sceso al 122 posto (al di sotto di gran parte dei Paesi africani) a ragione delle carenze della giustizia civile nel “fare attuare e rispettare i contratti”. Si potrebbero citare altri osservatori internazionali, distinti e distanti dalle nostre beghe. Tutto ciò fa scappare all’estero ed è un grande ostacolo a fare arrivare in Italia le imprese straniere.
Questi indicatori sono eloquenti per comprendere per quale motivo l’Unione europea (Ue) ha posto una drastica riforma delle giustizia come condizione per il finanziamento del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Infatti, perché aiutare un Paese che si dà la zappa sui piedi da solo tramite un sistema giudiziario che ha caratteristiche uniche al mondo ed in cui mentre gran parte degli addetti svolgono correttamente i propri compiti pullulano mele marce le cui gesta sono sulle prime pagine della stampa nazionale ed estera? Le proposte delineate dal ministro Cartabia sono unicamente un primo passo per cercare di accorciare i processi ma non toccano alcuni problemi di fondo. I quesiti referendari sono uno stimolo ad accelerare e completare una riforma essenziale per noi tutti.
Il primo quesito riguarda la responsabilità diretta dei magistrati. Secondo la legge attualmente in vigore, chi oggi è vittima di un errore giudiziario può chiamare in causa lo Stato che poi, entro due anni dal risarcimento, ha l’obbligo di rivalersi nei confronti dello stesso magistrato “nel caso di diniego di giustizia”, qualora si ravvisi una “violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea” o se viene accertato che “il travisamento del fatto o delle prove” siano “stati determinati da dolo o negligenza inescusabile”. L’obiettivo del referendum è invece permettere al cittadino di poter chiamare in giudizio direttamente il magistrato. Il magistrato in pensione Davigo ha sostenuto la sera dell’8 giugno in prime time televisivo che si minerebbe l’indipendenza e l’imparzialità del potere giudiziario in quanto ai togati verrebbe a mancare la serenità di poter decidere autonomamente, senza temere conseguenze. Non solo al grande potere di cui gode la magistratura in Italia non corrisponde un adeguato obbligo per i propri membri di rendere conto delle eventuali decisioni sbagliate assunte. Come invece accade per molte altre categorie professionali. Personalmente, anni fa mi trovai invischiato in un’indagine in cui il magistrato inquirente (che aveva probabilmente poca dimestichezza con il leggere) confuse il nome dell’interessato con il mio. Spese legali e viaggi. Neanche scuse. Il magistrato fece una buona carriera e forse imparò a leggere.
A proposito della custodia cautelare la Costituzione è molto chiara: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. La carcerazione preventiva deve (o dovrebbe) essere motivata da specifiche esigenze cautelari: pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. Viene, però, utilizzata come forma anticipatoria della pena se non al fine di estorcere confessioni. Il referendum si propone di limitare la possibilità di ricorrere al carcere prima di una sentenza definitiva. Si parla di inserire dei limiti che riguardano in particolar modo la reiterazione del reato, a meno che non si tratti di “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale” oppure di “delitti di criminalità organizzata”. Secondo il sito “Errori giudiziari”, “dal 1992 al 31 dicembre 2020, si sono registrati 29.452” episodi di ingiusta detenzione legati alle misure cautelari, “in media, 1015 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa che supera i 794 milioni e 771 mila euro in indennizzi, per una media di poco superiore ai 27.405.915 euro l’anno”.
Altro punto essenziale è la separazione delle carriere come in tutti i Paesi a democrazia liberale. Il referendum punta dunque a stabilire che il magistrato, “una volta scelta la funzione giudicante o quella requirente all’inizio della carriera, non possa più passare all’altra”. Lo stesso Giovanni Falcone affermò in più occasioni che “la regolamentazione delle funzioni e delle stesse carriere dei magistrati dal Pm non può essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il Pm, arbitro della controversia il Giudice”. Separando nettamente le carriere ci avvicineremo al resto dei Paesi Ocse. Lasciando le cose come stanno, la deriva ci porterebbe prossimi alla Corea del Nord.
Nel referendum ci sono altri tre quesiti. Uno riguarda le regole per elezioni del Csm Attualmente un magistrato che voglia candidarsi al Csm deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme: ciò comporta la formazione di cordate e di correnti che, come dimostrano cronache recenti, vengono poi utilizzate per tante altre cose. Con il referendum verrebbe abolito il vincolo delle firme. Un altro aspetto riguarda poi l’abolizione della legge Severino che prevede, in caso di condanna superiore ai 2 anni, che ad alcune specifiche ipotesi di reato sia comminata automaticamente la sanzione accessoria dell’incandidabilità alla carica di parlamentare, consigliere e governatore regionale, sindaco e amministratore locale. È un vulnus alla separazione dei poteri in vigore in tutte le democrazie da quando la formulò Montesquieu.
Secondo i promotori del referendum l’ultima parola deve invece spettare al giudice che può stabilire, oppure no, in base al caso specifico, se comminare, oltre alla sanzione penale, anche la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e per quanto tempo. Infine, la valutazione dei magistrati, ai fini della loro progressione di carriera verrebbe fatta anche dalla componente “non togata” del consiglio direttivo presso la Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari superando in questo modo il principio della valutazione solo interna alla magistratura, con inevitabili commistioni. E di rapide carriere di magistrati il cui curriculum è contrassegnato da gravi errori giudiziari.