Biden ha capito che, se vuole tenere la Cina sotto scacco e controllare l’Indo-Pacifico, non può cedere il controllo dell’Afghanistan. Ecco lo scenario nell’analisi di Vas Shenoy, ricercatore sulle relazioni Europa-India
Nell’ultimo summit della Nato, prima del suo ritiro dall’Afghanistan, non c’era tra gli invitati il presidente afghano Ashraf Ghani. Rimangono meno di 100 giorni per il ritiro di Stati Uniti e Nato dalla guerra più lunga e costosa della storia americana. Nel frattempo, l’Occidente sembra aver ceduto la sorte dell’Afghanistan agli estremisti, e il presidente Joe Biden ha spostato l’attenzione dalla Nato verso un fronte unito contro la Russia e la Cina. Ovviamente tutti, dallo stesso Biden al ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio, cantano vittoria mentre i sacrifici di donne e uomini dell’Occidente, schierati per difendere la libertà e la democrazia, rischiano di risultare vani. Ora i leader occidentali ci vogliono convincere che l’obiettivo di 20 anni fa fosse quello di catturare o uccidere Osama Bin Laden e sconfiggere Al-Qaeda. Sono certi che tali obiettivi siano stati oramai raggiunti.
Tuttavia, nessuno è convinto che regnerà la pace a Kabul dopo l’11 settembre prossimo. La Nato lascia il Paese in un ambiente più pericoloso di quanto fosse nel 2002. I vecchi signori della guerra si stanno armando e le agenzie dell’intelligence di vari Paesi hanno iniziato a barattare alleanze. La Nato ha chiesto al Qatar, l’unico Paese che ha una rappresentanza ufficiale di talebani, una base per la formazione dei soldati afghani, accettando il fatto che sarà impossibile e pericoloso mandare addestratori militari a Kabul. Nelle offerte d’aiuto c’era il braccio operativo del Qatar, la Turchia, che ha offerto di fornire soldati per la protezione dell’aeroporto di Kabul, mentre la Nato si ritirava. Recep Tayyip Erdogan, che da un pezzo cerca di guadagnarsi la leadership della umma (la comunità globale islamica), sperava che la sua offerta venisse accettata ampliando l’influenza del sultano a Kabul, ma sono stati i talebani stessi a negarlo per primi. Suhail Saheen, il portavoce dei talebani, ha dichiarato che, siccome la Turchia faceva parte della Nato, le truppe turche sarebbero dovute uscire con le truppe Nato. Tale dichiarazione non solo delude Erdogan, ma lascia aperta la questione della sicurezza delle varie agenzie, Ong ed enti civili Nato che dovranno ritirarsi dopo l’uscita delle truppe.
Tutte queste incertezze sono un chiaro segno che, ancora dopo 20 anni, il costo per gli Stati Unti di 2,6 trilioni di dollari e quasi 2.500 vite, l’Afghanistan si è riconfermato come la tomba degli imperi, e gli Stati Uniti sono la sua ultima vittima. L’Afghanistan ora è tornato sull’orlo della crisi e l’inviato di Biden, Zalmay Khalilzad, viaggia tra Islamabad e Doha cercando di trovare un accordo tra i talebani e il governo del presidente Ghani. Khalizad si impegna a trovare un’intesa di condivisione del potere senza sfociare in una guerra civile. Anche il Pakistan, lo storico sponsor dei talebani, si sta lavando le mani della responsabilità politica. Infatti, inaugurando il Pakistan-Afghanistan bilateral dialogue il 14 giugno a Islamabad, Shah Mahmood Qureshi, Il ministro pakistano degli Affari esteri, ha affermato che il Pakistan non si assumerà nessuna responsabilità per il deterioramento della sicurezza in Afghanistan dopo il ritiro di Stat Uniti e Nato.
I mujahideen si preparano per la guerra
La delegazione afghana a Islamabad ha nomi importanti della politica afghana che rappresentano il grande consiglio convocato dal presidente Ghani, con il quale i talebani non vogliono avere contatti. Infatti, i negoziati sono gestiti tra Doha e Islamabad e a capo della delegazione afghana ì si trova l’ex presidente e leader dei pashtun Hamid Karzai. La delegazione include anche Abdullah Abdullah, capo della commissione nazionale per la riconciliazione afghana, e i rappresentanti delle diverse etnie. Mentre oggi le negoziazioni con i talebani lasciano tante perplessità, tutti gli attori afghani e internazionali accettano che i talebani entreranno presto a far parte del governo nazionale. Quello che gli Stati Uniti e l’Occidente stanno provando a evitare è una guerra civile e un successivo ritorno a un emirato islamico dell’Afghanistan sotto i talebani e altri estremisti.
Mentre le varie fazioni afghane tentano di trovare una via pacifica, i signori del conflitto si preparano per una lunga guerra civile. Il consigliere per la sicurezza nazionale afghano, Hamdullah Mohib, ha affermato che sia Al-Qaeda che lo Stato Islamico della provincia di Khorasan stavano già lavorando in sintonia con i talebani.
Terrorismo e attacchi coordinati contro il governo e contro le forze di polizia e di sicurezza afghane (Andsf) sono aumentate del 250% da aprile a maggio di quest’anno. Il governo ha dichiarato 4.375 morti civili a maggio rispetto ai 1.645 in aprile. L’Andsf ha già riscontrato problemi di viveri e munizioni, e ha dovuto rendere 26 basi ai talebani solo nel mese di maggio. Con 85.000 combattenti, i talebani controllano un quinto del territorio, specialmente le zone rurali, e stanno ora iniziando a catturare le capitali provinciali raddoppiando il territorio sotto il loro controllo dal 2018. Cinque capitali provinciali Pul-e-Khumri (Baghlan); Kunduz city (Kunduz); Kandahar city (Kandahar); Lashkargah (Helmand) e Tarinkot (Uruzgan) rischiano di cadere sotto il controllo dei talebani rinforzati dal ritiro americano. I talebani sono convinti di essere riusciti a sconfiggere i potenti Stati Uniti e i loro alleati soltanto grazie alla divina provvidenza, e quindi non sono in vena di fare compromessi con Ghani. Così, si fermeranno solo quando avranno preso Kabul e ristabilito il loro emirato islamico.
In questo quadro anche gli alleati storici, il servizio dell’intelligence pakistano Isi e le forze armate pakistane, sembrano aver perso potere sul gruppo estremista. Infatti, esiste tanto malcontento tra i talebani afghani e i pakistani contro il loro sponsor storico, visto l’appoggio che hanno dato agli americani e data la pressione che ora cercano di esercitare per conto degli Stati Uniti per convincere i talebani ad arrivare a un compromesso.
Sullo sfondo di un aumento della violenza nelle province settentrionali di Takhar, Baghlan e Daykundi, il 5 maggio il leader tagiko Ahmad Massoud (figlio dell’ex leader dei mujaheddin Ahmad Shah Massoud, detto il leone di Panjshir) rivolgendosi a Kabul, ha dichiarato che se i talebani avessero continuato a cercare una soluzione bellicosa, i gruppi di mujaheddin afghani si sarebbero preparati per uno scontro armato. Il leader hazaro Mohammad Karim Khalili, prevedendo un deterioramento della situazione della sicurezza nell’area di Hazarajat (provincie di Bamyan, Daykundi, Ghor, Uruzgan e Wardak), stava compiendo sforzi per preparare milizie di resistenza contro i talebani, specialmente dopo l’attacco a Kabul sulla scuola di bambine shiite e hazara che ha ucciso più di 80 giovani studentesse. Come Massoud e Khalili che si stanno già armando, si stanno preparano anche l’uzbeko Rashid Dostum e Salahuddin Rabbani e Hemakhtyar. I talebani incontreranno una dura resistenza da parte di tutte le etnie di minoranza, gli uzbeki, i tagiki, i turkmeni e gli hazara e anche dai gruppi pashtun moderati.
Le nuove alleanze e il terrorismo 3.0
I talebani si sono evoluti dal 2001, e oggi sono più sofisticati anche grazie a una rete di relazioni internazionali con la Cina, la Russia e il Qatar. Non sono completamente dipendenti dai servizi e dalle forze armate del Pakistan come erano ai tempi del mullah Mohammed Omar, sebbene questi abbiano ancora oggi molta rilevanza essendo i loro fornitori principali di armi e d’intelligence. Non ci sono gruppi jihadisti che possono operare in Sud Asia senza l’appoggio dei servizi pakistani. Il pericolo che i talebani oggi riescano a ribaltare a proprio favore il gioco col Pakistan è molto alto, dapprima prendendo il controllo di Kabul e poi iniziando a dettare le regole del gioco al Pakistan, in cui il governo civile di Imran Khan non è capace di gestire l’estremismo. Il rischio, di conseguenza, di un altro golpe militare in Pakistan.
Il Pakistan continua a controllare la rete Haqqani e gli altri maggiori gruppi terroristici, ma si trova anche sotto pressione dell’Occidente, in quanto spinto a confermare presto il suo appoggio e la sua collaborazione coi paesi dell’Ovest per contrastare i talebani e tenerli sotto scacco. L’Isi genera e alimenta nuovi gruppi Sunni Sufi più fondamentalisti dei deobandi talebani e già in ascesa in Pakistan, come i Barelvi Tehreek-e-Labaik e Sunni Tehreek. Le due scuole dell’Islam, i deobandi che seguono i talebani e i barelvi non sono certamente compatibili, e ci sono fra loro differenze ideologiche importanti, le quali spesso degenerano in violenza.
Più preoccupante è l’aumento della presenza della Isil-Khorasan, il Daesh in Afghanistan. Con rapporti stretti con il Daesh/Isil siriano e iracheno l’Afghanistan può diventare una nuova base per il Daesh/Isil. Essa si configurerà come una fonte di beni culturali per la vendita nei mercati neri, ma anche come terra fertile per la crescita di narcotici, che sia i talebani che i servizi pakistani, ed eventualmente l’Isil, sono esperti a trafficare. Oggi Isil-Khorasan è la nuova destinazione per gli estremisti di Paesi del Sudest asiatico come l’Indonesia e la Malesia, che percorrono la strada per l’Afghanistan dalla Giordania via terra. Sembra che il nuovo Afghanistan diventerà una base per i jihadisti 3.0 da Raqqa alla Malesia.
La posizione difficile della Cina
Per i talebani i rapporti diretti con la Cina servono. Anche se la Cina ha sempre protestato per la presenza americana in Afghanistan, la loro presenza è sempre stata un grande sollievo per Xi Jinping. Ora, con il ritiro americano, i cinesi devono trovare i loro equilibri con i nuovi poteri estremisti e non possono dipendere tanto sul Pakistan. I talebani e altri gruppi hanno sempre appoggiato e dato rifugio a separatisti uiguri e al movimento islamico del Turkestan Orientale. Mentre la Cina distrugge moschee nello Xinjiang e manda musulmani di varie etnie in campi di rieducazione ora, con i talebani al governo a Kabul, dovrà essere attenta a non entrare in un conflitto ideologico transfrontaliero coi talebani e suoi alleati. Oltre all’aumento di rifugiati ed estremisti, la Cina ha investito tanto per un collegamento con le varie provincie afghane, al fine di sfruttare le ricchezze minerarie sotto la Via della Seta e il Corridoio del Wakan. La Cina può diventare un grande sostenitore del nuovo regime estremista, per salvaguardare le proprie frontiere e i propri investimenti, anche sacrificando un po’ il suo rapporto con il Pakistan come ha fatto in Myanmar con il golpe.
L’India, Pakistan, Iran e Russia: vecchie alleanze
Le altre vecchie alleanze rimarranno invariate. L’India continuerà ad appoggiare Massoud e altre forze moderate per proteggere le donne, i gruppi vulnerabili e i propri interessi. Con più di tre miliardi d’investimento, l’Afghanistan e la sua sicurezza è molto importante per la geopolitica indiana, e non si può permettere una nuova Kabul sotto la bandiera dei talebani e il controllo assoluto dei servizi pakistani. L’India ha imparato con tante difficoltà che, prima o poi, i combattenti jihadisti in Afghanistan finiscono in Kashmir. Il Pakistan ha già iniziato a spostare le basi di addestramento per i jihadisti che combattono in Kashmir, dal Pakistan al territorio afghano, per soddisfare le esigenze dell’Occidente.
La Russia, che ha sempre avuto un ruolo chiave anche dopo il suo ritiro del 1989, continuerà a cercare di essere il mediatore tra i gruppi pro India e pro Pakistan. La stessa Russia, che ha anche seri problemi di estremismo islamico in casa e nel vicinato negli stati della Comunità degli Stati indipendenti (Cis), vorrà tenere d’occhio l’Afghanistan, così da non diventare una base per i terroristi islamici. L’Iran proteggerà le minoranze sciita e hazara, possibilmente contrastando gli alleati turchi e pachistani, ma sempre in sintonia con la Cina, che ora è il suo grande sponsor avendo deciso di investire 400 miliardi di dollari nell’infrastruttura iraniana.
I due Paesi che avranno ruoli nuovi e importanti saranno Qatar e Turchia. Il Qatar si è già creato un ruolo mediando la pace tra i talebani e Donald Trump, e la Turchia cercherà di inserirsi nei giochi anche dopo la uscita delle truppe Nato. La fondazione turca Maarif era già attiva in Afghanistan finanziando la formazione islamica nelle scuole, similmente ai sauditi che operavano nelle madrassa già negli anni Ottanta. L’azienda militare privata Sadat, che risponde solo a Erdogan ed è molto attiva in Afghanistan, assiste varie fazioni; ha mercenari in Siria e in Libia e ora, con una presenza in Afghanistan, si occupa anche dell’addestramento di gruppi jihadisti attivi in Kashmir.
Il controllo dell’Afghanistan è una chiave per l’alleanza Pakistan-Turchia-Qatar e Cina e questo strano sodalizio di paesi cercherà di tenere l’India e la Russia a distanza.
In tutti casi, se non ora, fra breve, l’Occidente dovrà prendersi le sue responsabilità. In 20 anni, dopo aver abilitato le donne e i moderati dell’Afghanistan, non potrà lasciare i talebani e i loro alleati a smembrare il paese con un’unione di paesi autoritari che agiscono per i propri interessi sacrificando i diritti umani e la sicurezza di un paese-chiave per il Sud Asia. Biden ha già capito che, se vuole tenere la Cina sotto scacco e vuole controllare l’Indo-Pacifico, non può cedere il controllo dell’Afghanistan alla Cina, ai suoi alleati e alla Russia, lasciando l’India da sola a combattere contro varie piccole-grandi potenze.
Staremo a vedere il costo umano prima che questo succeda, e possiamo sperare che non sia un conto salato.