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Centrodestra unito o incontro di due paure? I dubbi di Rotondi

Senza sciogliere alcuni nodi fondamentali, il nuovo partito sarà solo un incrocio di convenienze dettato da due paure, quella di Salvini di essere superato da Meloni, e quella di FI di uscire dal campionato. Il commento di Gianfranco Rotondi, parlamentare di lungo corso, già ministro nel governo Berlusconi IV

Appendo al chiodo le mie preferenze sul futuro del centrodestra, e più ancora del Centro, a cui idealmente appartengo. E mi sforzerò di dare un parere tecnico-politico sulla proposta formulata da Matteo Salvini di una federazione dei gruppi di Lega e Forza Italia, preludio inesorabile di un futuro partito unitario.

Intanto, perché Salvini si sveglia con questo sogno in testa? Lo ha ben spiegato l’ex ministro azzurro Elio Vito, una delle teste pensanti di Forza Italia: ha paura del sorpasso della Meloni; vuole annettere Forza Italia; vuole entrare nel Ppe. Interessi legittimi. Ma a Forza Italia conviene? Come dicevano i dorotei: parliamone.

Forza Italia è Berlusconi, il resto è soap opera più o meno godibile. Berlusconi è stufo della politica politicante. Non gli è mai piaciuta, del resto, nemmeno quando vinceva, figuriamoci ora che è fanalino di coda nel centrodestra da lui fondato. A Silvio piace la grande politica, gli affreschi di scenario, le relazioni internazionali, le grandi questioni. È uno statista, razza allergica alle camarille di partito:si pensi al fastidio di De Gaulle e De Gasperi per le forze politiche che essi stessi avevano fondato. A Berlusconi può convenire di versare il residuo dividendo di FI sul conto elettorale della Lega, ricavandone un proscenio più adeguato alla sua storia e un finale più fausto della sua avventura politica.

Quanto alla truppa forzista, nel partitone può coltivare una speranza di rielezione, flebile in verità: a Salvini interessano gli elettori di Berlusconi, assai meno gli eletti. Fin qui le convenienze dei politici. Agli elettori, invece, cosa prometterebbe il nuovo partito? Bisognerebbe rispondere ad alcune domande.

Prima domanda: sul comodino Salvini ha Bannon o Maritain? Temo il primo, e dunque la nuova iniziativa politica non riunirà un mondo cattolico scisso irrimediabilmente tra conservatori e progressisti. Un Centro che si rispetti ricompone questa frattura, non la cavalca. Poi ci sono le questioni “laiche”: meno tasse, d’accordo, ma al Sud non basta. Quali investimenti nel Mezzogiorno, e chi li paga?

Infine giustizia, ambiente. Bene i referendum, ma il partito del cappio deve evolvere ancora parecchio per profilarsi come la nuova garitta garantista. E sul clima, Rutelli proprio ieri ci ha spiegato che serve la politica: gli Stati hanno firmato patti per cui le filiere produttive vetero-energetiche saranno presto vecchie carampane, e la destra ancora non lo ha capito.

Per concludere, un partito è la sua classe dirigente, la possibilità di selezionarla o imporla. Quale scelta farà Salvini? La Lega non è un tempio di democrazia dal basso. Nel Sud dominano colonnelli nordisti, e nella stessa Padania la gerarchia interna è ferrea (non a caso il segretario è chiamato con appellativo militare, il Capitano).

Senza sciogliere questi nodi, il nuovo partito sarà solo un incrocio di convenienze dettato da due paure, quella di Salvini di essere superato da Meloni, e quella di FI di uscire dal campionato.

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