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Russi a Bergamo, un regalo a Putin. La sveglia di Vito (Copasir)

Un anno fa quei militari russi in marcia verso Bergamo hanno fruttato a Vladimir Putin un vaccino per il Covid e segreti scientifici (mai condivisi). Un anno dopo è tempo di riflettere su quell’insolito regalo a Mosca. L’affondo di Elio Vito, parlamentare di Forza Italia e componente del Copasir

Ancora una volta, durante l’emergenza sanitaria, sociale ed economica che il mondo sta vivendo a causa della pandemia, tornano di attualità le vicende geopolitiche, delle relazioni internazionali, del ruolo stesso delle istituzioni sovranazionali.

È tutt’ora in corso il dibattito, non solo scientifico, ma anche politico, sulle cause e sulle modalità della formazione e della diffusione del coronavirus da Covid-19. La stessa Organizzazione Mondiale per la Sanità, non ha saputo (o non ha potuto) dare una risposta certa e definitiva alla più inquietante delle domande: dove e come è nato il virus che ha scatenato la pandemia, che ruolo ha avuto il famoso laboratorio di Wuhan?

Anzi, proprio l’Oms ha finito per trovarsi spesso al centro di polemiche e di critiche, da parte di attori importanti della comunità internazionale, anche per le modalità con le quali sono state svolte le indagini.

Adesso, mentre siamo nel pieno della campagna vaccinale, è diventata diffusa la convinzione che la decisione scientifica sulla autorizzazione, la produzione e la somministrazione dei vaccini, possa essere oggetto di valutazioni influenzate anche da altri fattori.

Ad esempio, il leader della Lega Matteo Salvini è tornato recentemente a chiedere, insieme ad alcuni presidenti di Regione di sinistra perché l’Agenzia europea del farmaco (Ema) non abbia autorizzato il vaccino russo SputnikV e come si possa impedire a cittadini sammarinesi o turisti russi così vaccinati di poter venire in Italia. Come se le decisioni dell’Ema dovessero seguire l’onda della campagna di propaganda effettuata, anche sui social, proprio a favore del vaccino russo.

E come dimenticare che pure sull’arrivo e sulla gestione degli aiuti, soprattutto dei primi aiuti, necessari per contrastare la pandemia, si sia giocata anche in Italia la complessa partita dello scacchiere internazionale, della conquista o del mantenimento di sfere di influenza, di alleanze tradizionali o di altre potenzialmente nuove, del contendersi pure la simpatia della popolazione con l’invio di materiale e personale.

È accaduto così che l’Italia, tra i Paesi fondatori dell’Unione europea e membro della Nato sin dalle sue origini, ha assistito ad una singolare processione di atterraggi di aerei in gran parte militari, russi e cinesi, calorosamente accolti dalle nostre autorità, con tanto di telecamere al seguito, senza considerare che questa generosità, potesse essere tutt’altro che disinteressata.

E tra mascherine con i caratteri cinesi e camion militari che percorrevano l’autostrada sventolando la bandierina russa, la realtà è coincisa con la percezione che si è data al nostro Paese, e dal nostro Paese al mondo: d’improvviso, dopo oltre settant’anni, i nostri amici erano diventati altri.

Ma che erano e sono altri, però, dai quali ci separava e ci separa tutt’ora una enorme distanza, sul piano di quei valori non negoziabili, di una società aperta, di una democrazia liberale, che rispetta i diritti civili e tutela le minoranze.

Che la lezione ci sia allora d’insegnamento, e lo sia, se mi è permesso, soprattutto per i miei amici e colleghi del centro-destra che si candidano legittimamente a governare il Paese, e che a volte sembrano guardare più a Budapest che a Bruxelles.

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