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Lo sboom delle Spac colpisce anche le banche

La crisi di sfiducia che sta investendo le società veicolo manda a picco le commissioni sulle Ipo riservate alle banche di investimento che fungono da advisor. Negli ultimi due mesi incassi crollati da 3 miliardi a 400 milioni di dollari

Lo sboom americano delle Spac comincia a farsi sentire, con le prime piccole fitte nel ventre delle banche statunitensi. La crisi di fiducia che sta investendo le Special purpose acquisition company in questa prima parte del 2021, dopo un 2020 decisamente brillante, rischia di impattare sui margini delle grandi banche di investimento che spesso partecipano all’Ipo di una società insieme alla società o startup di turno.

Tutto ruota intorno alle commissioni riservate alle banche di investimento nel momento in cui va in porto lo sbarco di una società sui listini, proprio grazie alla Spac. E questo perché il meccanismo delle società-veicolo prevede un accordo a monte dell’Ipo per una commissione da addebitare per il servizio svolto dall’istituto (spesso advisor), di solito circa il 10% dei proventi dell’Ipo stessa. Ora, con la parziale perdita di appeal da parte delle Spac negli Stati Uniti (ma non in Cina dove i citati veicoli sembrano cominciare a prendere piede) il volume delle commissioni si sta riducendo notevolmente: meno Ipo a mezzo Spac, meno introiti per gli istituti.

Secondo i dati di Refinitiv, citati dal Financial Times, le banche di investimento americane hanno guadagnato, tra aprile e maggio poco più di 430 milioni di dollari dalle Ipo rese possibili grazie alle Spac. Ciò ha rappresentato il 4,5% delle commissioni complessive dell’investment banking per il periodo. Un dato che però stride e non poco com quello relativo a gennaio e febbraio, dove le commissioni hanno toccato i 3 miliardi di dollari.

Tutto questo perché l’entusiasmo degli investitori è diminuito a seguito dell’andamento poco brillante del prezzo delle azioni che hanno messo in discussione i principi contabili e le previsioni di utili futuri ottenibili grazie a una quotazione a mezzo Spac. Lo dimostra il fatto che tra aprile e maggio ci sono state solo 30 Ipo via Spac negli Stati Uniti, rispetto alle 299 del primo trimestre del 2021. Non è tutto. Nello stesso bimestre, 32 Spac hanno reso possibili 32 fusioni, contro le 84 nei primi tre mesi del 2020.

Ora ci si chiede se il momento no delle Spac finirà o meno. “Tantissimi amministratori stanno rifiutando le offerte di società di acquisizione, cancellando le loro e-mail premurose e frenando gli accordi per l’ingresso delle Spac nel capitale”, spiega una fonte consultata dal Wsj. Perché il problema sembra essere questo: molte startup sono state portate in Borsa dalle Spac pur non essendo pronte ad affrontare i listini, a causa di un business non ancora del tutto avviato. E le conseguenze di tale azzardo non hanno tardato a manifestarsi. “La riluttanza è palpabile”, ha affermato Adam J. Epstein, economista e consulente di molte startup. “La Spac è passata dall’essere un percorso alternativo all’Ipo a un qualcosa di molto sopravvalutato”. Lo sboom comincia a fare male.

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