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I rischi nella lunga tregua commerciale tra Usa e Cina

Il mondo ha respirato con sollievo quando i due principali contendenti – Washington e Pechino – hanno firmato una “tregua di 18 mesi”, proprio pochi giorni prima che scoppiasse la pandemia. I 18 mesi di tregua sono trascorsi poche settimane fa. Se volessimo fare un bilancio in poche righe si potrebbe dire che la Cina non ha mantenuto nessuno degli impegni presi. L’analisi di Giuseppe Pennisi

L’Italia cresce, come di consueto, al traino della crescita del commercio internazionale. In marzo ed aprile, l’export è aumentato su base annua a tassi che hanno toccato l’80%, anche e soprattutto a ragione del vero e proprio crollo nel 2020. Si tornerà presto a tassi più contenuti ma comunque sostenuti e tali da tirare l’industria italiana che punta sempre più a mercati internazionali.

Ciò è possibile perché il commercio mondiale in espansione: per l’anno in corso, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) stima un tasso di crescita dell’8%, un rimbalzo rispetto alla contrazione del 5% accusata nel 2020 a ragione della pandemia. L’aumento della domanda mondiale si avverte particolarmente in alcuni comparti delle materie prime e di prodotti ad alto contenuto tecnologico (come le microchip) la cui produzione è concentrata in un numero molto limitato di Paesi. Ciò sta causando segnali di una ripresa dell’inflazione.

Sembrano lontani i tempi in cui si temeva che una “guerra commerciale” tra Stati Uniti e Cina si sarebbe estesa macchia d’olio, con imposizioni di dazi ed il ripristino di contingenti, ed avrebbe non solo frenato il commercio mondiale ma anche messo a rischio il corretto svolgimento delle funzioni dell’Omc, in primo luogo quella giurisdizionale. Eppure si tratta di appena due anni e mezzo fa.

Il mondo ha respirato con sollievo quando i due principali contendenti – Washington e Pechino – hanno firmato una “tregua di 18 mesi”, proprio pochi giorni prima che dal mercato o dai laboratori (un’indagine è in corso) di Wuhan è scoppiata la crisi del Covid-19 che ha mietuto (sin ora) tre milioni di vittime ed affossato (per diversi anni) l’economia mondiale. Formiche.net ha commentato in dettaglio i termini della “tregua”; gli Stati Uniti avrebbero soprasseduto nell’applicazione di “dazi di ritorsione” nei confronti della Cina, che, dal canto suo, si impegnava non solo ad aumentare import di “made in Usa” ma soprattutto a limitare, prima, ed eliminare, poi, le forti sovvenzioni pubbliche a settori come lo sviluppo delle auto elettriche e dell’aviazione civile nonché soprattutto dell’elettronica d’avanguardia.

I 18 mesi di tregua sono trascorsi poche settimane fa. Se volessimo fare un bilancio in poche righe si potrebbe dire che la Cina non ha mantenuto nessuno degli impegni presi. Il vostro chroniqueur ha trattato con i cinesi per anni, dall’ormai antico agosto 1970. E non si è sorpreso punto; lo aveva già preconizzato, su questa testata, a suo tempo. Anzi in alcuni comparti gli “aiuti di Stato” sono addirittura raddoppiati nonostante economisti cinesi avvertissero il governo che poteva drogare eccessivamente le industrie coinvolte, minandone l’efficienza. Tra le mura della Città Proibita si vuole che il nuovo Impero sia la maggiore potenza economica e tecnologica mondiale, costi quel che costi.
Cosa hanno fatto gli Stati Uniti? Un bel nulla. La Casa Bianca è troppo presa con i problemi politici ed economici interni. Il nuovo US Trade Representative, Katherine Tai, sta ancora organizzando le strategie del suo ufficio; ha comunque una tempre ben diversa da quella del suo predecessore, Robert Lighthizer, negoziatore indefesso e tenace.

Tutto bene? Indubbiamente, si è evitato, almeno per il momento, una nuova “guerra commerciale” che avrebbe potuto creare seri danni nella fase in cui il mondo sta faticosamente tentando di uscire della pandemia. Tuttavia, il protrarsi silenziosamente della tregua presenta vari rischi. I principali sono due.

In primo luogo, la Cina sta operando in spregio delle regole dell’Omc. Giustifica i sussidi alle industrie affermando di essere un Paese “in via di sviluppo”. Le regole dell’Omc permettono, infatti, aiuti di Stato alle “industrie nascenti” dei Paesi “in via di sviluppo”. È anche vero che in punta di diritto nel 2001 la Cina chiese ed ottenne di essere ammessa all’Omc come Paese “in via di sviluppo”. È difficile sostenere che lo sia ancora e che i sussidi alla alta tecnologia siano ad “industrie nascenti”, come il tessile e la meccanica leggera (comparti per i quali la deroga era stata permessa).

In secondo luogo, il 30 dicembre l’Unione europea (Ue) ha concluso con la Cina un EU-China Comprehensive Agreement on Investment, anche per annacquare il bilaterale China-Italy MoU del 23 maggio 2019, fortemente voluto dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico, ed ora Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio. Ma il 5 maggio scorso, l’Ue ha annunciato che sta preparando nuove regole in materia di aiuti di Stato nei Paesi con cui gli Stati membri hanno rapporti commerciali.

Senza dubbio, l’esperienza Usa-Cina è stata una buona lezione. Tuttavia, occorre chiedersi: non bastano quelle dell’Omc? E ove non fossero sufficienti, non si dovrebbe operare nell’ambito Omc. C’è altrimenti il rischio di frammentare un corpo giuridico multilaterale fondato sui principi della non-discriminazione e della reciprocità. I due principi che hanno assicurato 75 anni di crescita – prima che qualcosa da Wuhan infettasse il resto del mondo.


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