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Non solo Boeing/Airbus. Dall’acciaio al tech, i temi su cui Usa e Ue cercano la pace

Di Matteo Mazziotti di Celso

Era dal 2014 che non si teneva un summit tra il presidente degli Stati Uniti e i vertici dell’Unione Europea. Il risultato più rilevante è stato la sospensione della disputa tra i giganti dell’aviazione. Ora sul tavolo ci sono l’acciaio, la cooperazione tecnologica, la transizione verde e la tassazione internazionale. Tutto in chiave di ostilità verso Pechino,  scrive Matteo Mazziotti di Celso su Geopolitica.info

Dopo l’incontro con i membri del G7 in Cornovaglia e il summit NATO di Bruxelles, il presidente Biden ha chiuso il suo viaggio in Europa incontrando i principali rappresentanti dell’Unione Europea, cioè la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. A rendere il faccia a faccia con le autorità dell’UE particolarmente significativo ha contribuito soprattutto il fatto che quello svoltosi nella giornata di mercoledì ha costituito il primo vero e proprio vertice tra Stati Uniti ed Unione Europea dal 2014, mentre l’ultima visita di un presidente statunitense in Europa risale al 25 maggio 2017, quando Donald Trump incontrò Jean-Claude Juncker e Donald Tusk. Un importante segnale di attenzione verso le istituzioni europee, dunque, che inaugurano in questo modo quello che la presidente von der Leyen ha definito “un nuovo capitolo” nelle relazioni tra UE e USA.

Il clima dei colloqui non è stato affatto teso, come sarebbe probabilmente stato con Donald Trump, rimasto celebre per le sue accuse contro l’Unione, in particolare contro la Germania. Dall’avvento del presidente democratico alla Casa Bianca, i toni si sono alquanto smorzati. A marzo, Bruxelles si è accodata agli USA nell’emanazione di nuove sanzioni economiche contro Pechino a causa delle violazioni dei diritti umani perpetrare da quest’ultima. Più di recente, invece, Bruxelles ha sospeso i suoi sforzi per la ratifica dell’accordo sugli investimenti siglato con la Cina lo scorso dicembre e ha annunciato la presentazione di una sorta di “golden power” pensato principalmente contro le aziende cinesi. Tuttavia, Biden è consapevole che tra i membri comunitari sono presenti forti divergenze in merito all’approccio americano nei confronti della Cina, motivo per il quale, su molti fronti, i due attori non sono arrivati a nessun accordo. Nonostante ciò, i colloqui hanno portato ad alcuni importanti risultati.

La fine della disputa tra Boeing e Airbus

Una delle più importanti novità emerse dal summit è stata l’annuncio di un accordo per la sospensione dei dazi legati al contenzioso sui sussidi ad Airbus e Boeing per i prossimi cinque anni. Il raggiungimento di un compromesso, anche se temporaneo – la disputa non è risolta, ma sospesa – rappresenta la tregua di una battaglia durata 17 anni. È dal 2004, infatti, che i due colossi dell’aviazione si scontrano tra loro, accusandosi vicendevolmente di aver ricevuto miliardi di euro di sussidi statali illegali. Furono stati gli Stati Uniti a dar vita allo scontro, quando, rivolgendosi al WTO, accusarono Airbus di aver ricevuto circa 22 miliardi di dollari in aiuti illegali da parte di alcuni stati europei. L’Unione Europea, da parte sua, è passò subito al contrattacco, accusando gli Washington di aver a sua volta concesso a Boeing circa 23 miliardi di sussidi illegali. Il WTO, decise di dare ascolto ad entrambi i contendenti e concesse sia agli USA che all’UE la possibilità di imporre dazi su aerei e parti di aerei, oltre che su una serie di altri beni, come macchine e prodotti agricoli, formaggi, vino e biscotti.

Quanto deciso in occasione del summit riguardo ai due colossi dell’aviazione sembra inquadrarsi in una strategia perseguita da Washington in funzione anticinese. In effetti, uno dei principali beneficiari della guerra commerciale che Boeing e Airbus hanno combattuto per 17 lunghi anni sembra essere proprio un’impresa cinese, la Commercial Aircraft Corporation of China (Comac). L’azienda, fondata nel 2008, progetta e costruisce aerei passeggeri di grandi dimensioni, motivo per il quale essa rappresenta oggi uno dei principali competitor del gigante europeo e di quello statunitense. Negli ultimi anni, le principali compagnie aeree cinesi di proprietà statale si sono rivolte sempre di più alla Comac per la fornitura dei loro velivoli, abbandonando Airbus e Boeing, una volta loro fornitori di riferimento. Il Nikkei Asia ha rivelato che nel 2020 le principali aerolinee cinesi pubbliche hanno rinunciato alla fornitura di 53 aerei di Airbus e 58 di Boeing, tutto a vantaggio della Comac. Pare dunque di capire che, più di ogni altra cosa, è stato il pericolo posto dall’avversario cinese la vera chiave che è riuscita, almeno apparentemente, a sbrogliare un nodo bloccato da 17 anni.

Le dispute commerciali in corso tra Washington e Bruxelles non riguardano solamente il settore dell’aviazione. A tal proposito, durante la sua presidenza, Trump – coerentemente con quanto dichiarato a gran voce durante tutto il corso della sua campagna presidenziale – ha messo in atto una serie di iniziative volte a ridurre l’importazione di beni e servizi dall’estero verso gli Stati Uniti, così da favorire la creazione di nuovi posti di lavoro sul suolo nazionale. È quanto fatto in maniera evidente nel settore dell’acciaio.

L’Economic Policy Institute ha evidenziato come, nel periodo 2018-2019, i dazi imposti dal presidente Trump abbiano causato una riduzione dell’import di acciaio del 27%, la creazione di 32.000 nuovi posti di lavoro e un aumento degli investimenti nel settore di 15,7 miliardi di dollari. Nonostante il netto rialzo dei prezzi causato dalla crisi pandemica, quindi, Biden si è dichiarato ancora non pronto a rimuovere i dazi su questa materia. “Ho bisogno di tempo”, ha affermato il presidente democratico, mentre la presidente della Commissione Europea ha detto che le due parti “confidano di trovare una soluzione entro dicembre”.

Le altre questioni sul tavolo

Oltre alla tregua nel contenzioso tra la compagnia europea Airbus e l’americana Boeing, il summit tra USA e UE ha dato il via ad altre importanti iniziative, prima tra i quali figura l’istituzione del Consiglio sul commercio e sulle tecnologie. Questo strumento, anch’esso pensato in ottica anticinese, rappresenta una piattaforma utile agli Stati Uniti e all’Unione Europea per procedere verso una maggiore cooperazione nelle questioni commerciali e tecnologiche. Il Consiglio, proposto dall’Unione già nel dicembre 2020, ha come obiettivo principale quello di non rimanere indietro rispetto alla Cina nello sviluppo e nella regolamentazione delle tecnologie più avanzate.

In termini pratici, questo strumento si pone diversi obiettivi, tra i quali quello di promuovere la crescita del commercio bilaterale e degli investimenti tra i due paesi, di rafforzare la cooperazione nel processo di creazione di uno standard globale per il commercio di tecnologie emergenti e di favorire uno stretto coordinamento globale nella regolamentazione delle piattaforme tech e degli standard richiesti per tecnologie innovative, come l’intelligenza artificiale. Infine, tra i principali obiettivi del Consiglio figura, evidentemente, quello della promozione e della difesa dei valori democratici digitali. Si vuole evitare, in questo modo, che la Cina possa arrivare “prima degli altri attori globali a scrivere le regole nel settore del commercio e della tecnologia del XXI secolo”, come affermato da Biden.

Altra questione al centro del summit è stata quella climatica. “Vogliamo lavorare ad un’alleanza transatlantica sulla tecnologia verde”, ha detto la presidente della Commissione Europea. Stop quindi al periodo di tensioni inaugurato da Trump su questo dossier. Biden ha ribadito la sua ferma opposizione a quanto fatto dall’ex tycoon, che con l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi aveva manifestato a tutto il mondo la sua contrarierà ad affidare a Washington il ruolo di protagonista nella lotta al cambiamento climatico. Il nuovo esecutivo intende rafforzare la cooperazione con l’Unione Europea tramite l’istituzione di un High-Level Climate Action Group.

Restano però importanti divergenze tra i due attori, prima tra i quali il rifiuto, da parte statunitense, di stabilire un prezzo globale alla CO2, fortemente voluto dall’Unione. Divergenze esistono poi in merito alla creazione di uno standard per gli investimenti sostenibili, che Washington intende sviluppare in maniera autonoma, al contrario di Bruxelles, e in merito al tentativo, da parte dell’Unione, di definire una data precisa che segni la fine dell’utilizzo del carbone come fonte energetica, già sventato dagli Stati Uniti in occasione del G7.

Infine, un altro tema di cui si è discusso riguarda l’idea di Biden di imporre una tassa globale sulle multinazionali. L’accordo, in linea di massima, è stato confermato anche in occasione del vertice del G7 in Cornovaglia, ma alcune differenze persistono in seno all’Unione: alcuni paesi, come l’Irlanda, si oppongono fermamente alla proposta del 78enne democratico, felici di godere delle basse aliquote applicate nei confronti delle aziende che ospitano sul loro territorio, utili per attirare maggiori investimenti.

Resta poi il nodo della doppia tassazione sulle grandi Big Tech digitali. Von der Leyen ha affermato che “l’Unione Europea non intende tornare indietro sulla tassazione dei gruppi digitali per il semplice motivo che non c’è contraddizione tra la tassa sulle grandi imprese e quella digitale, ma si tratta di imposte complementari”. La presidente della Commissione ha poi precisato che l’imposta digitale dell’Unione “non sarà in alcun modo discriminatoria” e che “non ci sarà una doppia tassazione (…). Agli stati nazionali spetterà valutare la strada da percorrere per quanto riguarda le imposte digitali nazionali alla luce dell’accordo raggiunto dai ministri finanziari del G7”.

Il messaggio di Biden

Tutto sommato, sembrerebbe che il summit che si è tenuto tra USA e UE, oltre a simboleggiare in maniera evidente il tentativo da parte di entrambi gli schieramenti di riallacciare i rapporti transatlantici – la cui saldezza era stata messa in discussione durante gli anni di Trump – manifesta l’intenzione da parte del presidente Biden di coinvolgere in maniera maggiore gli alleati europei nel contrasto alla Cina. Questo coinvolgimento sembra passare in maniera sempre più chiara per due strade: quella del multilateralismo, reso evidente dal rientro in grande stile negli accordi di Parigi e nei negoziati con l’Iran, oltre che dal rilancio della NATO e dei rapporti con l’UE, e quello dei diritti umani, come testimoniato dalle recenti sanzioni comminate dagli Stati Uniti alla Cina a causa del trattamento di Pechino nei confronti della minoranza uigura, oltre che dal riconoscimento del genocidio degli armeni.

Infine, una breve parentesi sull’Italia. Se c’è un dossier poco trattato nel corso del summit tra USA e UE – ma anche in quello della NATO nella giornata di lunedì – è quello africano. Gli Stati Uniti sembra abbiano intenzione di interloquire con gli europei solamente sulle questioni di primaria rilevanza per Washington, in primis la Cina. Tra queste non figura il fianco sud del continente. Mentre l’Italia sembra riorientare il baricentro della sua politica estera e di difesa in Africa, in particolare nel Sahel, il messaggio di Biden agli europei sembra chiaro: l’Africa non rientra nelle priorità strategiche di Washington.

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