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Variante Delta, vaccini e tracciamento. Il punto del prof. Novelli

Vaccinare, tracciare e sequenziare. Questi sono gli strumenti che abbiamo per limitare il più possibile la diffusione della variante Delta del Covid-19. Conversazione con Giuseppe Novelli, professore ordinario di Genetica Medica all’Università di Roma Tor Vergata

Dal 28 giugno non sarà più obbligatorio indossare le mascherine all’aperto in zona bianca, “ma sempre nel rispetto delle indicazioni precauzionali stabilite dal Cts”, ha scritto il ministro della Salute Roberto Speranza su Facebook. Una decisione presa sull’onda dei dati positivi della campagna vaccinale. Al momento infatti già oltre il 53% della popolazione ha almeno una dose e circa il 27% ha completato il ciclo del vaccino.

Ora però è la cosiddetta variante Delta che preoccupa maggiormente gli esperti. Infatti il ministero della Salute, con l’Istituto superiore di sanità in collaborazione con le Regioni e Province autonome, ha cominciato a prendere campioni notificati “corrispondenti a prime infezioni” per analizzare il sequenziamento genomico, in modo tale da tracciare eventuali mutazioni e in particolare questa variante, individuata a ottobre 2020 in India.

Nel corso di un’audizione davanti alla commissione Igiene e Sanità del Senato, ieri, il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, ha elencato alcuni dati rilevanti sulla pandemia. “L’età mediana di chi entra in terapia intensiva è intorno ai 60 anni – ha detto il presidente – e questo ha a che fare con l’aumento della percentuale di vaccinazioni per fasce di età. L’età mediana di chi contrae l’infezione sta progressivamente discendendo, oggi è sotto i 37 anni, come è in calo l’età mediana di chi necessita di un primo ricovero che è scesa a 55 anni”.

“Adesso che sta circolando la variante Delta riceviamo molte segnalazione che riguardano l’attività dei Dipartimenti di Prevenzione che rintracciano i contatti delle persone che vengono trovate positive. Purtroppo abbiamo molte segnalazioni in moltissime regioni italiane, si sta cercando in questo momento di fare contenimento”, ha invece spiegato Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione presso il ministero della Salute, ascoltato anch’egli al Senato.

Ma cosa ci dobbiamo aspettare in Italia e quali strumenti abbiamo per contrastare la diffusione della variante Delta, che sembra molto contagiosa? Giuseppe Novelli, professore ordinario di Genetica Medica all’Università di Roma Tor Vergata, fa chiarezza con Formiche.net proprio su questo punto e molto altro.

“La variante Sars-CoV-2 B.1.617.2 (Delta) ha sostituito B.1.1.7 (inglese) come variante dominante in Inghilterra e in altri Paesi. Questo sta accadendo anche negli Usa”, afferma il professore.

“Ciò dimostra che B.1.617.2 si diffonde rapidamente, ma più velocemente nelle aree con un tasso di vaccinazione più basso. Questo deve indurci a velocizzare ancora la vaccinazione e soprattutto aumentare la sorveglianza genomica”. Il prof. Novelli quindi ribadisce quali sono gli strumenti che abbiamo da mettere in campo per contrastare la variante Delta: vaccini e tracciamento.

“È facile la soluzione: tracciare e sequenziare per bloccarne la circolazione. Trovare i positivi, individuare i contatti e isolarli rapidamente permette di interrompere le catene di trasmissione del Sars-CoV-2, impedendo alla variante Delta di diventare dominante prima di aver messo in sicurezza con il ciclo vaccinale completo la maggioranza della popolazione”.

E possiamo farlo? “Sì, in Italia è possibile: tamponi e sequenziamento, attività che spettano alle Regioni. I laboratori ci sono, le competenze pure… mancano i fondi e soprattutto la collaborazione (ogni tanto smettiamola di essere singolarmente bravi…)”.

Ma come stanno intervenendo in Gran Bretagna? “In Uk, ogni giorno vengono eseguiti circa 1.000 sequenziamenti: con un totale di quasi mezzo milione di sequenze genetiche virali depositate da inizio emergenza, contro le 30.000 circa di Italia, Francia e Spagna”. Ecco spiegata quindi l’importanza del tracciamento.

Per tornare poi alle vaccinazioni, è di pochi giorni fa l’appello della Società italiana di Pediatria che invita a vaccinare gli under 19, considerando questi dati fra i ragazzi: quasi 638mila casi di contagio e 26 decessi.

“Nella maggior parte dei casi di Covid-19, la malattia nei bambini è lieve con una bassa incidenza di esiti gravi”, spiega Novelli.

“I casi gravi documentati in pazienti con età inferiore a 17 anni si riferiscono a persone con una o più condizioni di co-morbidità o malattie da immunodeficienza e cancro. Un rischio maggiore è stato osservato anche nei bambini positivi al covid-19 con la sindrome di Down. Ci sono altri 4 criteri a cui bisogna attenersi nel considerare se vaccinare o meno un bambino: gravità della malattia anche in una sottopopolazione di bambini; la vaccinazione dovrebbe ridurre il rischio di trasmissione della malattia; il vaccino Covid-19 deve essere efficace nel proteggere un bambino dalla malattia; deve essere ampiamente disponibile, facilmente accessibile e alla portata di tutti”.

La campagna vaccinale è già iniziata da circa 15 giorni per gli under 19 e Novelli sottolinea come “l’evidenza clinica disponibile ad oggi ci dice che il vaccino Pfizer-BioNTech in adolescenti di età compresa tra 12 e 15 anni ha dimostrato un profilo di sicurezza, immunogenicità ed efficacia simile a quello precedentemente riportato in individui di età compresa tra 16 e 25 anni e oltre”.

Sui bambini invece di età inferiore ai 12 anni “sono pochi ancora gli studi. Importante è studiare i bambini affetti da forme gravi con test genetici indirizzati ad analizzare i geni dell’interferone e di atre proteine correlate”, conclude il professore.

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