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Da Hale ad Assange, la Casa Bianca non molla i whistleblower

La condanna di Daniel Hale riaccende il dibattito sul whistleblowing. Ma nonostante le nuove misure, Washington continua a tenere gli informatori sotto scacco – come dimostrano i casi di Assange, Manning e Snowden

Daniel Hale, il whistleblower dietro i Drone Papers, è stato condannato a 45 mesi di prigione. L’ex analista dell’Air Force aveva ammesso di aver divulgato materiale sensibile e segreto riguardo all’utilizzo di droni da parte dell’esercito statunitense. Le rivelazioni, emerse nel 2015, hanno dimostrato come il numero di morti collaterali (leggi: civili) fosse molto più alto di quanto dichiarato dal governo americano. In una lettera al giudice Liam O’Grady Hale ha detto che “era necessario sfatare la menzogna che la guerra con i droni ci tiene al sicuro, che le nostre vite valgono più delle loro”.

Secondo il rappresentante del Dipartimento di giustizia, invece, l’ex analista ha messo a rischio la sicurezza dell’esercito e dei cittadini americani “senza contribuire in alcun modo al dibattito pubblico riguardo a come andiamo in guerra”, ma con il solo scopo di soddisfare il proprio ego. L’accusa (che mirava a nove anni sugli undici possibili) ha ricordato che Hale ha iniziato a raccogliere materiale pochi mesi dopo essere entrato in servizio (e aver firmato i consueti accordi di riservatezza), oltre ad aver continuato ad accettare nuovi impieghi nell’esercito nonostante i morsi della coscienza.

“Sono sicuro che sostenere l’ISIS non fosse intenzione del signor Hale, ma [in pratica] è quello che ha fatto”, ha detto Gordon Kromberg, il rappresentante del Dipartimento di giustizia, al giudice O’Grady, facendo presente che parte dei materiali diffusi da Hale finirono nei manuali digitali di addestramento per gli estremisti islamici desiderosi di eludere la longa manus dell’esercito americano. Eppure le rivelazioni hanno costretto il governo americano a esercitare più attenzione nell’utilizzare i droni, un implicito riconoscimento del merito delle accuse mosse da Hale.

Tuttavia, secondo il giudice Liam O’Grady, Hale “non è stato perseguito per aver parlato del programma di droni che uccide persone innocenti”. Rivolgendosi al condannato nella lettura del verdetto, il togato gli ha detto: “avresti potuto essere un whistleblower senza prendere nessuno di quei documenti”. Perché per quanto esistano leggi a protezione dei whistleblower – e della loro libertà/responsabilità/scelta personale di divulgare informazioni utili al pubblico – a Washington la bilancia legale è solita favorire le istituzioni militari.

La condanna di Hale è solo l’ultima di una lunga serie di azioni intraprese dal governo americano contro i responsabili di fughe di notizie, una tradizione di fatto inaugurata da Barack Obama (la cui amministrazione a suo tempo perseguì più whistleblower di tutti i suoi predecessori messi assieme) e continuata da Donald Trump. Normale che nell’era digitale sia più facile raccogliere e diffondere materiali compromettenti, ma gli ultimi tre inquilini della Casa Bianca (incluso Joe Biden) sono accomunati dalla stessa aggressività nel perseguire i divulgatori e i loro collaboratori.

Il trentatreenne è stato condannato per aver violato l’Espionage Act, lo stesso strumento legale che grava sul capo di Julian Assange e Chelsea Manning (WikiLeaks) ed Edward Snowden (Datagate), che esattamente come Hale lavorava come analista di signals intelligence (SIGINT, l’intercettazione di qualsiasi genere di comunicazioni elettroniche). Secondo un gruppo di legali in difesa del Primo Emendamento (sulla libertà di parola) quella legge, risalente al 1917 (benché spesso emendata), fu pensata per punire le spie in guerra e non gli obiettori di coscienza, le cui chances di difendersi in una pubblica corte americana sono drasticamente ridotte.

Manning, l’ex soldato che fornì quasi 750,000 documenti segreti o sensibili alla piattaforma WikiLeaks riguardo alle guerre in Iraq e Afghanistan, entra ed esce di prigione dal 2010 al 2020. Il fondatore di WikiLeaks Assange è imprigionato a Londra da due anni, dopo sette passati confinato nell’ambasciata ecuadoregna (che pochi giorni fa ha rigettato la sua richiesta di cittadinanza), con Washington che preme per l’estradizione. E Snowden, che nel 2013 rivelò al mondo le operazioni americane di spionaggio di massa, vive in Russia da allora con un permesso di residenza indeterminato; se rientrasse negli Stati Uniti rischierebbe trent’anni di galera.

L’amministrazione Obama promise e passò, in una certa misura, un rafforzamento delle leggi in difesa del whistleblowing. L’amministrazione Biden ha varato nuove leggi per impedire che il Dipartimento di giustizia utilizzi i propri poteri per sorvegliare potenziali divulgatori e collaboratori. Tuttavia queste misure non reggono il confronto legale con l’Espionage Act, che anche Biden sembra voler impugnare ad libitum contro coloro che interferiscono con le attività dell’esercito.

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