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Anticorruzione. Dopo Biden, tocca all’Europa? La proposta Ecfr

Dopo il memorandum di Biden che ha riconosciuto la lotta alla corruzione globale come interesse fondamentale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, cosa può fare l’Europa? Le risposte in un rapporto Ecfr

La disillusione verso la politica e il rafforzamento dell’influenza delle autocrazie, Russia e Cina in particolare, rappresentano le due principali minacce della corruzione alle democrazie occidentali, alla loro stabilità e prosperità. È quanto sostiene Chris Raggett in un recente rapporto pubblicato dallo European Council on Foreign Relations.

“Le tradizionali iniziative multilaterali come la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione possono aiutare ad affrontare la seconda di queste minacce”, scrive l’analista facendo gli esempi delle attività di Mosca in Ucraina e di Pechino in Africa. “Ma non possono fare molto per la prima”; qui, invece, porta cita i casi di Paesi “come Bulgaria, Ungheria, Polonia e altri” in cui si registra “l’erosione degli standard e delle istituzioni democratiche”.

“Una delle principali sfide per l’Europa consiste nell’affrontare queste due minacce simultaneamente”, prosegue: “contrastare la corruzione strategica in un modo che risponda alle preoccupazioni degli europei riguardo alla corruzione nel sistema politico interno”. E in questo senso, aggiunge, “sull’anticorruzione, i Paesi europei hanno bisogno della loro politica estera per la classe media”.

Come raccontato su Formiche.net, recentemente l’anticorruzione è diventata un interesse fondamentale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. È accaduto un mese e mezzo fa, con la firma del presidente Joe Biden su un memorandum annunciato pochi giorni prima del suo viaggio in Europa per il G7, il summit Nato, l’incontro con il leader europei e il faccia a faccia con l’omologo russo Vladimir Putin.

Kathleen Doherty, diplomatico statunitense di carriera, già ambasciatrice a Cipro e numero due a Roma, aveva spiegato a Formiche.net le due ragioni dietro la scelta del presidente statunitense: “seguire i flussi di denaro illecito è un modo per rafforzare l’accountability di autocrati e cleptocrati che si appropriano del denaro dei loro cittadini”; “evitare di diventare anche noi dipendenti dal denaro sporco alimentando un pericoloso circolo vizioso”.

Secondo Raggett, è proprio dalla mossa di Biden e dal G7 che bisognerebbe ripartire in Europa, su base nazionale. Magari creando istituzioni nazionali di alto profilo, come il Dipartimento per lo sviluppo internazionale britannico (inglobale nel ministero degli Esteri l’anno scorso), in grado di “affrontare la corruzione e capaci di lavorare all’interno di una rete internazionale”. Il tutto, però, senza dimenticare che le questione di sovranità potrebbero rappresentare ostacoli nel percorso. “Creando istituzioni nazionali contro la corruzione che si concentrano sulla politica interna ed estera, gli alleati potrebbero perseguire i loro obiettivi strategici mentre affrontano la disillusione pubblica nei confronti del sistema politico e l’abuso di potere affidato nelle loro società”, scrive Raggett.

E l’Italia? Intervistato da Formiche.net, Michele Corradino, presidente di sezione del Consiglio di Stato e già commissario dell’Autorità nazionale anticorruzione, aveva definito la decisione di Biden “un’importante presa di coscienza sulla corruzione come elemento che impedisce lo sviluppo sociale ed economico, grava sulla ripresa e sul futuro dei giovani, alimenta i fenomeni migratori”. In Italia, proseguiva il magistrato, “abbiamo una normativa studiata dagli altri Paesi dell’Unione europea che offre un livello altissimo: la purezza del dato numero consente ai cittadini un controllo anche incrociato delle attività delle diverse amministrazioni pubbliche”. Per questo Corradino metteva in guardia da chi, parlando di “opacità per confusione”, cerca di “toglierci trasparenza sostenendo la necessità di dare ai cittadini dati semilavorati.


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