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Giustizia e giustizialisti, una riforma non basta. Firmato Cicchitto

Di Fabrizio Cicchitto

La riforma della Giustizia di Marta Cartabia mette un freno alla marea giustizialista iniziata con Tangentopoli. I giustizialisti, però, sono ancora lì e in forze più che mai, dopo che Conte ha vinto la sfida interna al Movimento. Draghi farebbe bene a preoccuparsi. Il corsivo di Fabrizio Cicchitto

La riforma Cartabia blocca una tendenza efferata fondata su un giustizialismo esasperato e cieco iniziata con Mani Pulite nel ’92-’94 che è proseguita dopo il ’94 contro Silvio Berlusconi e successivamente ha investito tutti, compreso personalità del Pd.

In questo sistema già efferato di per sé poi il ministro Bonafede, una singolare figura di avvocato ultragiustizialista, ha innestato quella bomba atomica di cui ha parlato la senatrice Bongiorno, che sostanzialmente si risolveva nel processo a vita (e che processi, da quello contro Mannino durato 30 anni prima dell’assoluzione, a quello contro Alemanno durato 7 che però ha comportato anche la distruzione della Capitale d’Italia sotto lo slogan Mafia Capitale con vicende giuridiche che paradossalmente riproducevano ex post narrazioni romanzate, tipo Romanzo Criminale, con il nero Carminati che ha svolto la funzione di connessione fra la fantasia e una realtà del tutto forzata).

Nel frattempo, però, è avvenuta un’altra cosa e cioè che la magistratura, anzi ad essere più precisi, la magistratura associata (ANM, CSM, correnti di sinistra, di centro, di destra) prima ha fatto il pieno del potere, compreso il potere politico distruggendo i partiti esistenti o sottomettendoli, e poi è implosa per le sue contraddizioni interne e anche perché non sa di casa dove sta la politica intesa nel senso alto e anche medio del termine: tutto si svolgeva nei bassifondi.

Per di più a questo punto l’Europa si è accorta che l’Italia è un Paese poco raccomandabile sia per la sua giustizia civile, sia per la sua giustizia penale e anche per la perversità del suo sistema carcerario: di qui per un verso la fuga degli investimenti esteri e per un altro verso il condizionamento di 200 miliardi di euro alla normalizzazione del nostro sistema giudiziario.

Ciò è capitato in altri termini un’altra volta nella storia d’Italia prima dell’unità, ma come spinta ad essa nei confronti dei Borboni. Allora, allo stato attuale la riforma Cartabia è il minimo che si può realizzare per tamponare e normalizzare una situazione che è sfuggita di mano. Per altro verso una serie di questioni, in primo luogo lo sdoppiamento delle carriere e dei Csm, non è nella riforma, ma viene affrontata fortunatamente dai 6 referendum presentati dai radicali con il sostegno della Lega.

A nostro avviso, anche chi, come il sottoscritto, non condivide molte delle posizioni politiche di Salvini deve comunque firmare i referendum. Storicamente sempre i referendum sono stati un punto di incontro fra posizioni politiche molto diverse: casomai sono i laici, i socialisti, i cattolici, gente di destra e di sinistra che devono ritrovarsi nel garantismo, superare i loro ritardi e quindi firmare i referendum.

Le cose però non si fermano qui. Già prima di questa vicenda nel Movimento 5 Stelle era in corso uno scontro senza esclusione di colpi che aveva per oggetto il potere, il potere dei due leader maximi, Grillo e Conte. Per un movimento fondato sul principio “uno vale uno” una autosmentita clamorosa, ma le smentite non si sono fermate qui.

Un movimento che negava in via di principio la coalizione, l’alleanza, il compromesso invece ha fatto parte di tre governi di segno opposto, quello con la Lega, quello con il PD e LeU e quello, presidente il banchiere Draghi, con dentro addirittura Berlusconi e Forza Italia. Il M5S ha fatto tutto ciò sia perché una parte di esso si è reso conto che non si potevano fare follie in un paese con la pandemia e con la recessione, sia perché tutti volevano salvare il tesoro costituito di più di 300 parlamentari.

Adesso però lo scontro politico e di potere riesplode sulla riforma Cartabia e qui arriva l’ora della verità indipendentemente dal compromesso realizzato nella giornata di ieri, che per un verso sembra appiccicato con lo scotch, per altro verso imposto dall’esigenza di evitare la deflagrazione che si tradurrebbe alle prossime elezioni in una sorta di strage “degli innocenti e dei non innocenti”.

Al di là di tutte le invenzioni di questi anni, il Movimento Cinque Stelle comprende un nocciolo duro reazionario fondato sul Fatto di Travaglio e su alcuni magistrati, in primo luogo Davigo. In secondo luogo, sta emergendo tutta la doppiezza politica impersonata dall’avv. Conte.

Prima che Renzi, facendo un servizio all’Italia, provocasse la crisi del governo Conte aveva tentato di conquistare i pieni poteri nella gestione della politica sanitaria (Arcuri), nei servizi (Vecchione), nella stessa elaborazione e gestione del Recovery Plan, per non parlare della politica estera.

Conte aveva stabilito rapporti preferenziali con pezzi della vecchia ditta comunista (da Bettini a D’Alema) e a livello internazionale con una sorta di compagnia della buona morte che andava da Trump, a Putin, alla stessa Cina.

Oggi per Conte da un lato Draghi è l’usurpatore (basta leggere tre quarti del Fatto dedicati ossessivamente solo a questo tema), per altro verso la linea di Draghi di stampo europeista, filo Usa versione Biden, riformista e garantista è inaccettabile per l’ex premier.

Allora al di là dei termini tuttora non chiari del compromesso realizzato fra i due leader maximi prima o poi l’obiettivo di Conte è quello di far cadere il governo Draghi. Irresponsabilità allo stato puro perché oggi, per come sono combinate le cose, o l’Italia ha un governo presieduto da Draghi o va rapidamente verso il disastro.

Anche dopo il semestre bianco le cose non si fermano rispetto alle società di rating e agli spread. Tutto ciò però riguarda anche le altre forze politiche. Il PD e in esso, in primo luogo, Enrico Letta si ritrova in una situazione assai imbarazzante per il credito dato al Movimento 5 stelle e in esso proprio a Conte.

Sull’altro versante però anche Salvini si deve dare una regolata. Non può da un lato stare nel governo Draghi e addirittura sostenerlo di fronte agli scarti e ai progetti di assassinio politico del trio Conte-Travaglio-Casalino e dall’altro lato andarsi a collegare non con la destra del PPE (in primis Weber), ma con il peggio del sovranismo europeo, da Orban ai polacchi, che per di più non ci aiuta né nella gestione delle quote d’immigrazione, né tantomeno sulla politica economica.

Infine, la riforma Cartabia sta aprendo un’altra questione dal lato magistratura. A Milano i processi saltano per prescrizione per il 4%, a Napoli per il 24%. I processi di secondo grado durano in molte sedi meno di due anni, ma in alcune quattro o addirittura cinque.

C’è un problema di efficienza, di produttività, di impegno lavorativo da parte dei magistrati al di là delle differenze politiche e culturali. Alcuni magistrati reputano di poter fare tutto quello che vogliono anche per quello che riguarda la qualità e i tempi del loro lavoro, tanto non c’è nessuna valutazione professionale reale ed effettiva.

Poi non c’è dubbio che comunque occorrono investimenti rilevanti in termini di occupati e in termini tecnologici, ma tutte le cose sono connesse alla luce di cifre così divaricate. In sostanza per la magistratura italiana è arrivata l’ora della verità da tutti i punti di vista. Lo straordinario successo del libro di Palamara e Sallusti Il sistema dice che è finita l’epoca nella quale c’erano migliaia di persone che gridavano: Di Pietro facci sognare. Anche perché questo sogno si è tradotto in un incubo.

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