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La filiera della carta e della grafica alla sfida delle bio-politiche

Con la crisi pandemica (e i provvedimenti del governo sulle industrie essenziali) la filiera della carta e della grafica si è “riscoperta” essenziale. Un’essenzialità giuridica, ma che è stata confermata dal fatto che l’intera filiera ha svolto il ruolo di fornitore di prodotti “life-sustaining” con continuità, grazie alle imprese e ai suoi lavoratori, ma anche di snodo fondamentale dell’economia circolare italiana, come riciclatore e trasformatore delle raccolte differenziate urbani e industriali nel nostro Paese. L’intervento di Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta

Siamo nel tempo delle bio-politiche. Il G7 in Cornovaglia, il G20 a Napoli sono solo alcuni esempi. Insomma, siamo chiamati ad agire, sempre di più, secondo modelli di biopolitica che assumono dimensioni interstatali complesse. La sostenibilità e la decarbonizzazione non potranno non trasformare l’assetto geopolitico.

E questo vale anche per la filiera rappresentata dalla Federazione della Carta e della Grafica.

Con 22 miliardi di euro di giro d’affari la filiera carta e grafica made in Italy, in cui spicca un saldo commerciale con l’estero di 3,5 miliardi euro, rappresenta l’1,3% del Pil e ne conferma il ruolo di protagonista nella manifattura italiana, analogo all’intero sistema moda (1,1%).

Un’eccellenza del made in Italy che svolge un ruolo essenziale nella transizione ecologica e digitale.

Con la crisi pandemica (e i provvedimenti del governo sulle industrie essenziali) la filiera della carta e della grafica si è “riscoperta” essenziale. Un’essenzialità giuridica, ma che è stata confermata dal fatto che l’intera filiera ha svolto il ruolo di fornitore di prodotti “life-sustaining” con continuità, grazie alle imprese e ai suoi lavoratori, ma anche di snodo fondamentale dell’economia circolare italiana, come riciclatore e trasformatore delle raccolte differenziate urbani e industriali nel nostro Paese.

L’Italia della carta e della grafica è campione di circolarità con il 61% delle carte e cartoni prodotti in Italia realizzati a partire da carta riciclata e per alcune produzioni (carte e cartoni per cartone ondulato) la carta da riciclare è l’unica materia prima.

Con tassi di riciclo che nel comparto dell’imballaggio sono oltre l’87%, per la prima volta sopra il valore obiettivo dell’85% fissato dalla direttiva per il 2030!

L’Italia è al 2° posto, dopo la Germania, in Europa per i volumi di carta da riciclare impiegati annualmente nelle proprie produzioni, L’essenzialità ha consentito di limitare i danni nel 2020, mentre, intanto, avanzava il dibattito sul Pnrr e sul Recovery Fund.

Anche in questo caso la filiera della carta è stata riconosciuta tra i “settori faro” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

La Transizione

Di quanto sia importante la Transizione sia importante e fondamentale e come debba essere affrontata in maniera pragmatica e non ideologica, quando gli obiettivi sono particolarmente ambiziosi, siamo tutti d’accordo.

Solo se il chiodo regge, lo specchio può star a pensare all’inutilità dei chiodi, solo se la legna arde e l’aria fa resistenza, il fuoco può vagheggiare l’assenza della legna e la colomba quella dell’aria. Aristotele pareva che sostenesse (ma sembra fossero d’accordo anche Socrate e Platone) che per mandare al diavolo la filosofia bisogna fare la filosofia!

Insomma, per pensare che oltre ai chiodi vi siano tanti altri modi che consentono di stare appesi, ci vuole il tempo necessario e occorre che il tempo della transizione venga utilizzato bene.

La vicenda della Direttiva Plastica Monouso ne è un po’ la dimostrazione. Per introdurre dei cambiamenti importanti nel modo di produrre e di vivere bisogna costruire la transizione.

La filiera della carta può offrire un contributo importante nella transizione verso degli imballaggi ancora più sostenibili, rinnovabili e circolari.

Il governo italiano ha colto bene il punto ed ha adottato una strategia in cui il “chiodo” verrà sostituito in maniera concreta, senza inutili “buchi” nel muro.

Come dimostra la vicenda plastiche monouso, il tempo non si compra o, se si compra, lo si può fare solo in alcuni casi, ad esempio in banca.

Invece nel campo della Transizione Ecologica, il tempo non si compra. È molto importante che le istituzioni siano molto “reattive” e oltre a indicare obiettivi ambiziosi, lavorino per completare la “cassetta degli attrezzi” per una compiuta Transizione. Farò alcuni esempi che vengono dall’esperienza quotidiana.

La transizione dell’industria verso un’economia decarbonizzata necessita strumenti e tempi compatibili con lo sviluppo tecnologico.

Gli strumenti ordinari

Innanzitutto va data attuazione agli strumenti ordinari.

Non possiamo migliorare le performance ambientali dei nostri stabilimenti se non esistono soluzioni tecnologiche concrete che possano sostituire le attuali. Lo sforzo delle imprese deve essere quello di adottare le best practice, compatibilmente con la tenuta economica dell’impresa stessa specialmente se operante in un contesto di mercato internazionale.

Siamo nella delicata fase in cui l’evoluzione tecnologica mostra le innovazioni che saranno disponibili nei prossimi 10/20 anni e al contempo efficienta, con l’aiuto della digitalizzazione, i processi attualmente in essere.

Non possiamo pensare oggi a fabbriche che abbandonano il gas naturale per passare in modalità on/off a idrogeno o biocombustibile, semplicemente perché queste nuove tecnologie non sono ancora disponibili su scala industriale.

In questo senso è indispensabile proseguire con decisione nel percorso per l’introduzione di una zona unica di scambio del gas a livello europeo ovvero l’abolizione di tariffe intrazonali (cross-border zero tariffs) come proposto nello studio Quo Vadis della Commissione europea.

La libera circolazione del gas all’interno dell’Eu eliminando le barriere tariffarie deve a maggior ragione essere garantita considerando che il percorso verso la decarbonizzazione renderà necessario trasportare anche gas a basso contenuto di CO2 (biometano, idrogeno) utilizzando le infrastrutture esistenti.

Solo l’assenza di barriere allo spostamento di tali gas all’interno dell’Eu consentirà alla stessa Unione di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al minor costo per la collettività sfruttando le sinergie e le peculiari degli Stati membri.

L’occasione irripetibile per correggere queste distorsioni è sui nostri tavoli in questi mesi con il processo di revisione dell’assetto del mercato del gas per includere anche i gas decarbonizzati oggi in corso presso la Commissione Europea.

Non basta affermare che, come si leggeva ieri sul Corriere della Sera, che ridurre il consumo di gas farà calare le bollette.

A parte che il consumo di gas in Italia è previsto che rimanga fino al 2030 almeno a 50 miliardi di metri cubi, provate un po’ a vedere qual è il costo del MW in Italia e quali strumenti siano concretamente disponibili per acquistare energia elettrica da fonti rinnovabili.

L’atteso DM sul mercato dei Titoli di Efficienza Energetica, per il quale il nostro Paese è stato premiato nel 2017 e che ha generato nei 15 anni di funzionamento oltre 20 mln di risparmi di Tep, ci appare veramente inadeguato a causa del forte ridimensionamento della portata dello strumento, con obiettivi ridotti e con ampio spazio per strumenti virtuali di mercato.

Ci riferiamo ai cosiddetti Tee virtuali, a cui possono fare ricorso i soggetti obbligati all’acquisto in alternativa ai Tee reali.

La Transizione non è dilazione

La certezza della programmazione degli investimenti passa anche dalla certezza che l’efficienza derivante dagli investimenti sarà valorizzata, obbligatoriamente (e non con titoli virtuali) e con valori di sostegno adeguati al costo delle tecnologie.

L’alternativa è lasciare le imprese in balia dei mercati e dei costi che la transizione impone a chi non riesce a star dietro all’evoluzione.

Senza strumenti di stimolo e supporto l’unico “driver” rimane l’Ets, che però ha caratteristiche non di spinta agli investimenti.

Le recenti impennate di prezzo, guidate dai nuovi obiettivi europei e dalle conseguenti posizioni speculative degli hedge fund, che possono permettersi di entrare e uscire dal meccanismo in base ai prezzi, hanno di fatto anticipato gli scenari post 2025 senza che le soluzioni tecniche future fossero già disponibili.

Le imprese sono costrette a pagare oggi il costo Ets che avrebbero evitato di pagare in futuro se avessero avuto il tempo per mettere a terra i necessari investimenti.

Anche per questi motivi è necessario chiudere in tempi brevi il dossier sulla copertura dei costi indiretti della CO2, che in tutta Europa, eccetto che in Italia, è applicata da anni.

Essa contribuisce a sterilizzare il rischio Ets sui soggetti Carbon Leakage, schermandole dal rischio di delocalizzazione.

Lo sblocco delle 3 misure in 3 settori centrali della decarbonizzazione, gas, efficienza ed Ets, potrebbero permettere alle nostre imprese di restare agganciate al treno verde europeo senza continuare a subire danni incalcolabili, e al contempo fornire quelle necessaria spinta per continuare ad investire in ricerca, tecnologia e macchinari che ha sempre contraddistinto l’industria italiana nell’ottica di una rinnovata Transizione Energetica ed Ecologica

Un ultimo cenno ancora al Pnrr in cui è stato dato ampio spazio al sostegno alle fonti rinnovabili, ma nessuna misura specifica per sostenere l’efficienza energetica

Insomma, la Transizione è importante, se non è “dilazione” ma è il tempo per prendere decisioni, creare alternative tecnologiche e gli strumenti per investire nel nostro domani.

Soprattutto, se durante la Transizione, si continua con metodo e applicazione a far funzionare gli strumenti “ordinari” che già ci sono… Che è il modo migliore per “far funzionare”, tra qualche mese, anche lo strumento “straordinario del Pnrr”.

 

 

 


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