Sul Green Deal – come su Fiscal Compact, Plastic tax e Mes – in Italia sono partite le polemiche, sempre e soltanto dopo il via libera del Consiglio Ue (e dunque anche del nostro governo). Per evitare un bis degli incentivi green che hanno arricchito la Cina servirà il coordinamento con gli Stati Uniti e una transizione più dolce possibile
Le cronache politiche che raccontano il fuoco incrociato su Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica nel governo Draghi, sembrano suggerire che il Green Deal diventerà il nuovo fronte di scontro politico in Italia.
Un po’ come lo furono in passato il Patto di bilancio europeo (il cosiddetto Fiscal compact), la Plastic tax e il Fondo salva-Stati (Mes).
Come questi tre, il Green Deal ha incassato il via libera del Consiglio europeo, dunque dei 27 (28, prima della Brexit) Stati membri dell’Unione.
E come questi tre, il Green Deal è oggetto di tensioni politiche ex post in Italia.
Il ministro Cingolani ha denunciato il rischio di chiusura per la Motor Valley se anche le supercar dovranno adeguarsi all’elettrico al 100% in così pochi anni rispetto al ciclo di produzione delle industrie. Intervenendo al seminario estivo della Fondazione Symbola, ha spiegato che “in questi giorni stiamo parlando con il settore automotive”: emerge chiaramente che “c’è una grandissima opportunità nell’elettrificazione. Ma ieri è stato comunicato dalla Commissione europea che anche le produzioni di nicchia, come Ferrari, Lamborghini, Maserati, McLaren, dovranno adeguarsi al 2030 al full electric. Questo vuol dire che, a tecnologia costante, con l’assetto costante, la Motor valley la chiudiamo”, ha dichiarato. “Se noi oggi pensassimo di avere una penetrazione del 50% di auto elettriche d’emblée”, ha sottolineato, ”non avremmo neanche le materie prime per farle, né la grid per gestirla. Su un ciclo produttivo di 14 anni, pensare che le nicchie automobilistiche e supersport si riadattino è impensabile”.
Le parole del ministro Cingolani hanno scatenato diverse reazioni. Tra queste, quella dell’assessore allo Sviluppo economico dell’Emilia-Romagna, Vincenzo Colla. “Penso che sulla Motor Valley ci siano investimenti molto importanti che vanno in quella direzione. Ma la transizione va governata, non è un precipizio; non è tutto nero o tutto verde, in mezzo c’è l’arcobaleno che va governato”, ha dichiarato al Resto del Carlino. Parlando dell’Ets, il sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’Unione europea, ha aggiunto: “Benissimo far pagare di più chi inquina, ma attenzione che se io porto a 52 euro la tonnellata l’acquisto della CO2 quelli che hanno fatto investimenti in green – penso per esempio al settore della ceramica con industrie energivore – scatta la speculazione finanziaria perché la finanza sta acquistando le quote per rivenderle alzando il loro prezzo”.
Un episodio che ricorda quando l’Italia sembrò rendersi conto di avere una forte industria dell’imballaggio soltanto dopo il via libera alla Plastic tax europea.
In un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità, Paolo Arrigoni, senatore della Lega responsabile del dipartimento energia del partito guidato da Matteo Salvini, ha invitato il governo ad agire “in sede europea per arginare questi diktat” dell’Europa, che, “di fronte a questi enormi rischi dovrebbe dunque puntare a una transizione ecologica graduale” ma “è pervasa da un’ideologia politica ambientalista che sta prendendo sempre più piede”. A dimostrarlo c’è la recente proposta della Commissione con il pacchetto Fit for 55, secondo l’esponente del Carroccio. Che poi vuole”sfatare il mito delle auto a spina a emissione zero”: “un’auto elettrica inquina eccome, e non solo perché è alimentata da energia elettrica prodotta in gran parte da fonti fossili”, scrive.
I timori politici riguardano in particolare occupazione e innovazione. Senza dimenticare che gli Stati Uniti hanno inserito la carbon border tax nella proposta di legge al Congresso. In questo quadro, l’alleanza transatlantica dovrà essere solidissima per disincentivare le produzioni inquinanti in Asia, o ci troveremo presto a dover fare i conti con un bis degli incentivi a batterie e pannelli solari che hanno arricchito la Cina e impoverito le nostre filiere. Gli obiettivi di abbattimento delle emissioni servono, ma la transizione dovrà essere più “dolce” possibile.