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Il green pass è la prova generale per la digitalizzazione della Pa. Ecco cosa manca

Nel dibattito tra le forze politiche sul green pass si è persa una dimensione importante: non è solo non è solo una chiave di accesso alla libertà di partecipare ad attività economiche e sociali ma anche la prova generale di un progetto molto più ampio, la digitalizzazione della pubblica amministrazione. L’analisi di Giuseppe Pennisi

Nel dibattito, molto acceso, tra le forze politiche sul green pass – il certificato vaccinale prodotto dalla piattaforma nazionale vaccinale di recentissima istituzione, certificato che permetterà di viaggiare in altri Stati dell’Unione europea (Ue) e di accedere a spettacoli, stadi ed altri luoghi di socializzazione – si è persa una dimensione importante: non è solo una chiave di accesso alla libertà di partecipare ad attività economiche e sociali ma anche la prova generale di un progetto molto più ampio, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, parte essenziale del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Anche e soprattutto per questo motivo occorre partire con il piede giusto.

Non è chiaro quanto il ministro della Transizione digitale e quanto il ministro della Pubblica amministrazione siano stati coinvolti in un dibattito che pare essersi svolto essenzialmente tra ministro della Salute, il Comitato Tecnico Scientifico e le Regioni (oltre che naturalmente le forze politiche). Uno studio del Decreto del presidente del Consiglio del 17 luglio sulla piattaforma nazionale DGC dà l’impressione che il loro coinvolgimento sia stato minimo, pur se il documento porta la firma anche del ministro per la Transizione digitale.

Dalla lettura del documento si trae l’impressione che la piattaforma nazionale DCG – quella che genererà i certificati verdi o green pass – nasca come un marchingegno organizzativo per meglio coordinare le piattaforme digitali regionali, già esistenti da alcuni mesi. Queste ultime, a loro volta, hanno in gran misura reso “numeriche”, ossia digitali, in gran misura le procedure cartacee esistenti. Non si è tenuto conto che perché l’obiettivo venga raggiunto occorre modificare i processi, non utilizzare il computer per fare più velocemente quanto si faceva in modo cartaceo ed in gran misura a mano. Già le piattaforme digitali regionali avevano mostrato le carenze di questo modo di operare (ad esempio, non includevano nel sistema regionale molti “vaccinati della prima ora” che avevano ricevuto la prima dose in ospedale o in una casa di cura e la seconda presso il medico di famiglia oppure presso il proprio domicilio).

Nel dibattito sul green pass, si discute animatamente se e in che misura il documento debba essere esibito per entrare al ristorante “chiuso” o al bar, mentre non si parla di problemi più gravi. Se non sono stati riveduti i processi e la base di tutto è la certificazione cartacea quale trasmessa da un ufficio a un altro (a cui viene sovrapposta l’informatica), alcuni nodi seri consistono in come trattare coloro che hanno avuto il Covid, ne sono stati guariti e ne sono immunizzati ma di cui ovviamente manca la certificazione vaccinale cartacea, oppure come classificare gli immunodepressi che non possono essere vaccinati a ragioni di patologie oncologiche o di altra natura, oppure ancora gli italiani residenti all’estero ma non nell’Ue e che possono esibire certificati di Stati degli Usa oppure di altri Stati extra-Ue, oppure ancora i numerosissimi i cui certificati vaccinali regionali non “generano” i green pass in quanto, dato l’accento posto sulle organizzazioni e non sui processi, le unità regionali proposte alla bisogna non dialogano con la neonata piattaforma nazionale DCG.

L’ultimo nodo è facile da sciogliere: accettare il certificato vaccinale regionale, almeno in Italia, sino a quando (sei-nove mesi) superato il rodaggio, il nuovo sistema funzioni. Per i guariti dal Covid e per gli immunodepressi, è facile accettare una dichiarazione da un primario ospedaliero (pur sempre un alto funzionario pubblico). Difficile il caso dei vaccinati in Stati extra Ue; si potrebbe chiedere al console d’Italia una omologazione (così come si fa per la scuola), ma ci sono consoli che si proclamano “no vax e no mask” (strano modo di rappresentare la Nazione in un compito che comporta ampi contatti con il pubblico – la Farnesina ci rifletta).

Queste proposte di soluzioni possono essere utili ma, se non si cambia l’approccio, i più vasti piani di digitalizzazione sono a rischio.


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