Skip to main content

Il lavoro post Covid? Solo integrando le politiche attive con quelle industriali

Di Sebastiano Fadda

L’evoluzione del mercato del lavoro, il ruolo della formazione, le professioni che hanno sofferto di più durante la pandemia e le politiche d’inclusione insieme alle sfide della Pa e del Terzo settore sono solo alcuni degli argomenti approfonditi dal primo Rapporto Inapp 2021. L’intervento di Sebastiano Fadda, presidente Inapp

Siamo tutti consapevoli di trovarci in presenza di un profondo processo di cambiamento strutturale. Alla dinamica strutturale che naturalmente accompagna l’evoluzione della società si è aggiunta nel 2020 la scossa della pandemia, che ha colpito duramente tutte le articolazioni del sistema economico e sociale.

Il mercato, anzi, il mondo del lavoro ha subito così una sorta di “stress test”, che, tuttavia, non essendo meramente un “test” ma un “terremoto” reale, mentre ha messo si in evidenza criticità e debolezze strutturali ha anche aperto profonde ferite non ancora cicatrizzate.

Tra le ferite si registrano le difficoltà, e spesso la chiusura, di diverse unità produttive; i licenziamenti e i mancati rinnovi dei contratti a termine, le difficoltà del lavoro autonomo; la caduta del reddito da lavoro (anche da lavoro “atipico”) per larghe fasce della popolazione, cui si è sopperito con sostegni di emergenza in aggiunta al pilastro del Reddito di Cittadinanza; l’accentuazione dei problemi sotto la prospettiva di genere e dell’inserimento lavorativo della popolazione giovanile.

Ma la crisi legata alla pandemia ha intaccato anche la dimensione del vivere sociale: i processi educativi per tutte le età hanno subito torsioni non sempre prive di conseguenze negative, i rapporti interpersonali, quando non interrotti dagli esiti letali dei contagi, sono stati sottoposti a tensioni che hanno colpito specialmente i soggetti costretti a condurre nuove forme di convivenza e di lavoro in condizioni di emarginazione sociale e di disagio abitativo.

Molte di queste lacerazioni hanno rivelato criticità strutturali già presenti nel sistema ma per lungo tempo ignorate o non adeguatamente affrontate. Con queste devono fare i conti ora le scelte di politica economica e sociale; e la possibilità di realizzare un sistema organico di interventi è ora accresciuta dalla presenza, da non sprecare, delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Il Rapporto Inapp presentato al Parlamento individua alcuni campi in cui le politiche pubbliche devono affrontare la sfida del rafforzamento e del rinnovamento per uscire con coraggio dal pantano delle ambiguità e della confusione nella quale in passato sono spesso sprofondate.

I dati contenuti nel Rapporto mostrano una fragilità della situazione occupazionale determinata dall’alto (e crescente) numero di contratti a tempo determinato e di forme lavorative scarsamente tutelate. Questa forma di flessibilità “spuria” danneggia l’accumulazione di capitale umano “on the job” e per questa via ostacola anche la crescita della produttività del lavoro. Un’autentica flessibilità (che consenta la riduzione dei “costi di aggiustamento” per il cambiamento strutturale) deve essere conseguita attraverso una accurata politica di adeguamento delle competenze e una seria politica di sostegno al reddito nei periodi di transizione occupazionale. La soluzione del problema richiede una integrazione strategica tra politiche industriali, politiche del lavoro e politiche della formazione. In questo ambito si inquadrano anche le problematiche del salario minimo come pure quella della durata dell’orario di lavoro.

La bassa dinamica salariale, che si mostra comunque generalmente inferiore alla pur bassa dinamica della produttività, si accompagna alla diffusione di lavori sottopagati (il caso dei “working poors”) e costituisce una determinante fondamentale della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, la quale costituisce a sua volta un aspetto del più grande problema della diseguaglianza (educativa, territoriale, di genere, etc) che mina la coesione sociale, e, secondo la maggior parte della letteratura economica sull’argomento, anche la crescita economica. Anche sul piano dell’inclusione e della coesione sociale si rende necessario un adeguamento delle politiche sociali nel territorio, come pure un potenziamento dei servizi sociali, e una riduzione del forzato carattere “familiare” del welfare italiano, anche con l’aiuto del “terzo settore”.

L’efficacia delle politiche pubbliche, una volta stabilita la loro appropriatezza, è in larga misura condizionata dalla qualità della Pubblica Amministrazione. In essa si combinano aspetti relativi alle dinamiche interne delle relazioni di lavoro con aspetti relativi alla capacità di svolgere funzioni vitali nella gestione delle politiche e nelle relazioni con i cittadini. Il problema della cosiddetta “capacity building” si estende dalla formazione di competenze adeguate sul piano manageriale alla riorganizzazione dei processi e dei percorsi burocratici utilizzando tutte le possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali.

Abbiamo un basso numero, rispetto agli altri paesi europei, di persone dotate di titoli di istruzione terziaria, ma abbiamo anche una bassa domanda di elevate qualifiche professionali da parte del sistema produttivo. Problemi di disallineamento si accompagnano a problemi di relativa arretratezza della frontiera tecnologica su cui mediamente opera il sistema produttivo italiano. Professionalità di alta qualificazione non assorbite dalla domanda di lavoro nel nostro paese trovano occupazione all’estero. Ancora una volta il problema non può essere risolto se non con una forte integrazione tra politiche industriali e di diffusione dell’innovazione in tutti i settori da un lato e politiche formative lungo tutto l’arco della vita e dell’orientamento dall’altro.


×

Iscriviti alla newsletter