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L’Italia, Biden e il destino del Mediterraneo. Scrive Sapelli

Per tornare a una politica estera realista gli Stati Uniti di Joe Biden devono strappare la Germania post Merkel al suo destino di potenza di terra e ravvivare la vocazione dell’Italia nel Mediterraneo. Ecco come. Il commento di Giulio Sapelli, storico ed economista dell’Università Statale di Milano

L’Indo-Pacifico è il nuovo campo dell’esercizio asimmetrico di potenza futuro e in quelle acque si delineerà l’unica via per impedire la trappola di Tucidide del XX secolo, ossia la guerra analogica mondiale di inaudita potenza, ovvero circondare la Cina di una crescita dell’Asia intera, che, qualcuno dimentica, non dipende soltanto dalla potenza demografica dell’Impero di Mezzo.

Per far questo gli Stati Uniti debbono abbandonare l’unipolarismo dei Clinton e dei Bush, abbeverato alla teoria antirealista neocon degli allievi di Leo Strauss, e tornare alla teoria e alla pratica realista in politica estera. Joe Biden e il suo Segretario di Stato Antony Blinken (nutrito di cultura europea e francofono) iniziano a muoversi verso questo nuovo punto archetipale del dominio mondiale.

Ma questo snodo implica due obiettivi da perseguirsi con decisione e intelligenza superiore all’odierna mediana: ricostituire un rapporto con la Russia che non la cacci, come oggi accade, nelle braccia della Cina, e stringere attorno alla Nato le potenze europee di ogni dimensione, così superando la Brexit là dove serve, cioè nella dislocazione talassocratica dei rapporti di potenza.

Questi due obiettivi hanno dei corollari condizionanti, ossia che mentre si opera per conseguirli e mentre li si raggiungono divengono sempre più necessari. Il primo di essi è strappare la Germania dal suo destino di potenza di terra che trascina tutta l’Europa fuori dai mari per cederli alla Cina assieme alla deflazione secolare. E qui qualche passo innanzi pare si stia compiendo: in agosto unità navali da combattimento olandesi, tedesche, francesi e britanniche (una per nazione per dimostrare, senza provocare) sfileranno non nello stretto di Taiwan ma pur sempre in quei mari caldissimi e segneranno l’inizio di un ponte militare possibile ed efficace tra Australia, India e Giappone, nonché il potenziale europeo sinora mai espresso in funzione di roll back anti–cinese. Una vera rivoluzione copernicana.

Il secondo di questi obiettivi è quello di porre un freno allo sgretolamento della presenza italiana nel lago Atlantico Mediterraneo la cui sicurezza sarà – con il canale di Sicilia – la condizione grazie a cui l’Europa potrà fuoriuscire dalla deflazione secolare ordoliberista teutonica, potendo perseguire la ricostruzione della Mesopotamia e quella partnership economica, diplomatica e culturale salvatrice con le borghesie africane che si stanno autonomizzando dal capitalismo estrattivo post-coloniale.

Non a caso in questa’ottica il trattato italo-francese che è stato sancito dalla recente visita di Mattarella in Francia è tanto importante. Oltre al fatto – di cui ormai ben pochi colti tra gli incolti possono cogliere il significato simbolico neo-risorgimentale fuori da ogni retorica nazionalista – che la Grande Storia in tal modo ritorna al suo posto e il Conte Camillo Benso Conte di Cavour e Vittorio Emanuele possono continuare in cielo a scriversi in francese, tale trattato è importante perché segnala l’impossibilità italica di reggere da soli l’impegno della mutualizzazione del debito e del Pnrr.

Ma come – ci si chiederà – perché difendersi dagli aiuti? E invece non solo bisogna difendersi ma anche lottare, perché nella dinamica della centralizzazione capitalistica anti-pandemica i lacciuoli del debito non cessano di operare, come dimostrano gli avvertimenti dei tenori dei cosiddetti “Paesi frugali”(scusate la volgarità di linguaggio). E come ci insegna la storia del Risorgimento, sino alla sciagurata svolta del rovesciamento delle storiche alleanze europee che l’unità nazionale rese possibile, il sostegno esterno francese– e che sostegno in funzione anti-austriaca ci fu allora! – fu determinante.

Molto tempo – mi si dirà – è passato. È vero: ma la Storia non passa mai e come ci insegnava Vico ritorna. Ritorna sempre.

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