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L’Europa senza Merkel si mette nelle mani di Draghi. L’analisi di Alli

Draghi al posto di Angela Merkel è molto più di una semplice suggestione, è l’unica àncora di salvezza per l’Unione. Resta un problema: Draghi potrà svolgere lo stesso ruolo nella posizione di Presidente della Repubblica? L’analisi di Paolo Alli, nonresident Senior fellow dell’Atlantic Council, già presidente dell’Assemblea parlamentare Nato

A poco meno di sei mesi dal suo insediamento come presidente del Consiglio, Mario Draghi fa discutere e suscita reazioni – talvolta anche in aperto contrasto – nell’opinione pubblica, come è giusto che sia in una democrazia matura.

Se la gran parte degli italiani giudica positivo l’operato del nostro Primo ministro e del suo governo, non mancano, infatti, le perplessità e neppure le voci fortemente critiche. Non intendo entrare nel merito di queste dialettiche, perfettamente legittime, anche se a leggere gli articoli del Fatto Quotidiano non può non sorgere il sospetto che Marco Travaglio e soci abbiano avuto un autentico travaso di bile, tuttora in corso, dopo la caduta del loro beniamino Giuseppe Conte, e che non sappiano rassegnarsi a tale oltraggio di lesa maestà.

Né credo valga la pena soffermarsi più di tanto sulla ostilità (in realtà solo apparente) di Giorgia Meloni o sugli ondivaghi atteggiamenti di Matteo Salvini. Per non dire del deludente Enrico Letta, al costante inseguimento del Movimento 5 Stelle in una dinamica che non può non evocare il suo forte risentimento verso Matteo Renzi, memore dell’hashtag #staiserenoenrico.

Né penso che siano destinati a esiti significativi il tentativo di Silvio Berlusconi di invocare il partito unico del centrodestra, i tatticismi di Renzi, lo sforzo di Brugnaro che vorrebbe creare un’offerta politica nuova partendo dai nomi più vecchi che da decenni stazionano nel panorama parlamentare nazionale.

Mario Draghi appare l’unica possibile fonte di novità, non solo sul piano della capacità di governo, ma anche per la chance che ha in mano – unico oggi nel panorama nazionale – di favorire la nascita di un’offerta politica seria per i moderati italiani che, come è noto, rappresentano la larga maggioranza degli elettori.

Ma credo che valga la pena di dare un’occhiata fuori dai confini nazionali.

In qualche recente puntata in quel di Bruxelles e nei colloqui, formali e informali, che in tali circostanze si realizzano, ho avuto la sensazione piuttosto netta di una aspettativa molto importante nei confronti dell’ex presidente della Banca Centrale Europea.

A un primo approccio, pare del tutto legittimo che gli osservatori europei considerino Draghi come una garanzia di serietà di uno dei Paesi fondatori dell’Unione. Insomma, un Primo ministro in grado di ridare credibilità all’Italia.

Ma penso che non si tratti solo di questo.

L’Unione Europea ha sempre avuto una propria struttura, affidata spesso a personaggi politici di secondo livello (vedi Barroso o Juncker). L’autorevolezza delle istituzioni europee è stata sempre garantita dai leader dei principali Paesi membri, in particolare, negli ultimi tre lustri, da Angela Merkel. Più volte ho avuto occasione di sottolineare come questa asimmetria del sistema europeo dipenda dalla ancor scarsa dimensione politica dell’Unione, mai realmente completata come fu nel pensiero e nelle aspettative dei Padri fondatori: infatti, in una Europa politica, la Merkel sarebbe stata la presidente della Commissione Europea e non la Cancelliera della Germania. Ma questa è ancora oggi la realtà, che si voglia o meno: i leader nazionali contano più dei leader comunitari.

Se osserviamo la geografia politica attuale dell’Unione Europea, non possiamo non constatare la desolante assenza di leadership che possano supplire, in qualche modo, al deficit di politica delle istituzioni comunitarie, alle quali non basta certo l’ottima von der Leyen.

La Brexit ha aperto una voragine nell’asse storico anglo-franco-tedesco che, nei fatti, ha governato l’Europa per decenni. Il nostro Paese non ha ancora saputo sostituire il Regno Unito, ripristinando l’originale asse Roma-Parigi-Berlino, a causa della pochezza dei nostri rappresentanti.

L’uscita di scena della Merkel e il vuoto spinto che si delinea alle sue spalle nella potente Germania, la fragilità sempre più evidente di Macron, presto alle prese con una competizione elettorale che potrebbe rivelarsi per lui devastante, danno la sensazione di un sistema europeo destinato ad essere in balìa degli eventi e delle grandi competizioni globali, rischiando di essere condannato alla irrilevanza.

Come non pensare, allora, che l’attuale inquilino di Palazzo Chigi non sia atteso con ansia (anche se in modo ancora non esplicito) come l’unico leader in grado di rimpiazzare Angela Merkel nei prossimi anni alla guida reale dell’Unione Europea?

Draghi al posto della Merkel è molto più di una semplice suggestione: appare oggi come l’unica àncora di salvezza per l’Europa. Credo siano in moltissimi ad aspettarselo e a sperarlo a Bruxelles e nelle varie cancellerie nazionali.

Resta un problema: Angela Merkel ha garantito la vera leadership (con buona pace di tutti i suoi detrattori) nelle istituzioni comunitarie per quindici anni, occupando il posto di capo del governo tedesco. Mario Draghi potrà svolgere lo stesso ruolo, per il quale non gli manca nessuna qualità, nella posizione di Presidente della Repubblica italiana? Per quanto gli ultimi Capi dello Stato abbiano dato abbondanti dimostrazioni di ricoprire, nel nostro Paese, un ruolo di grande rilevanza anche politica, non è certo la stessa cosa andare a Bruxelles come Presidente della Repubblica o come capo dell’esecutivo, che partecipa alle decisioni reali e non si limita a interventi – più o meno forti – di moral suasion.

Non credo che Draghi non stia valutando tutte queste opzioni, alla vigilia del semestre bianco. Da un lato il Quirinale rappresenterebbe, infatti, un punto di arrivo di enorme prestigio per un uomo stimato da tutti nel mondo (tranne dal Fatto Quotidiano, cosa che ne conferma – peraltro – l’assoluta autorevolezza); d’altra parte, però, Mario Draghi presidente del Consiglio, oltre a garantire continuità di azione e immagine internazionale al nostro Paese, potrebbe assai più facilmente sostituire Angela Merkel nella guida politica reale di tutta l’Europa. I cui fragili leader attuali credo si aspettino da lui esattamente questo.

Vedremo nei prossimi mesi a quali esiti porteranno le riflessioni dell’uomo sulle cui spalle pesa oggi il destino non solo dei 60 milioni di italiani ma, assai probabilmente, quello di 450 milioni di europei.

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