Interoperabilità, libertà per il consumatore, crescita e innovazione. L’economia digitale porta con sé il rischio di lock-in dei gatekeepers. Sono migliaia le aziende europee (e italiane) che sostengono i dieci principi per un cloud più equo, e puntano a introdurli nella formulazione del Digital Markets Act
La transizione digitale che ci sta portando verso l’adozione diffusa del cloud computing è una promessa tanto carica di opportunità quanto di rischi. Tra tutti, l’eventualità che la solida posizione di cui godono oggi le grandi aziende tecnologiche si traduca in un dominio assoluto sull’infrastruttura fondamentale su cui girerà non solo l’economia digitale, ma tutto, dai servizi statali al funzionamento della piccola azienda privata. In un mercato digitale non ancora regolato a dovere.
Da qui l’allarme lanciato dalle migliaia di aziende europee (di cui tremila sono italiane) riunite sotto l’egida di Cispe, l’associazione di fornitori di infrastrutture cloud europei, che assieme alla controparte francese Cigref propone un un manifesto di dieci principi di fair software licensing, tra cui figurano interoperabilità, libertà di scelta, trattamento equo. L’iniziativa, supportata da svariate sigle italiane (CIO AICA Forum, AUSED, CIO Club Italia, FIDAinform, CIONET), è stata presentata in Italia durante un evento moderato dalla giornalista Nicoletta Boldrini.
Cispe vuole avere un impatto sul Digital Markets Act (Dma), un pacchetto di norme per la regolamentazione del mercato digitale allo studio della Commissione europea. Secondo il segretario esecutivo di Cispe, Francisco Mingorance, si tratta di un’opportunità d’oro per innervare i dieci principi nel quadro normativo europeo. “Senza un equo terreno di gioco, dove si può competere e crescere, l’ecosistema è in pericolo, e con esso il principio dell’autonomia strategica europea sul cloud”, ha detto.
Luciano Guglielmi, presidente di CIO AICA Forum, ha mappato il problema. Oggi chi acquista software aziendali e pensa di migrare le proprie operazioni sul cloud (pubblica amministrazione inclusa) fa fatica a resistere al richiamo di Big Tech. I prezzi sono ultracompetitivi data la loro dimensione, il brand è arcinoto e trasmette sicurezza. Salvo poi accorgersi che nello scegliere un vendor ci si lega ad esso mani e piedi, rischiando di dover pagare sovrapprezzi e cadendo vittima del lock-in tecnologico che rende complicatissimo passare a un concorrente, o anche solo scegliere di appoggiarsi su un cloud diverso da quello del fornitore di software.
Tutto ciò va particolarmente a svantaggio delle Pmi, ha rimarcato Paola Generali, presidente di Assintel; la difficoltà nello scegliere un software e “sistemarlo” in un cloud allontana l’utente finale dall’adozione di soluzioni innovative, rallentando la transizione digitale complessiva. Non ideale, in un momento in cui i dati sono driver di valore.
Il problema è ben noto anche a Palazzo Chigi. Intervenendo all’evento, il coordinatore del Dipartimento per la trasformazione digitale Mauro Minenna ha spiegato che il governo intende prestare l’orecchio alle associazioni e favorire giustizia, parità di accesso, spostamenti tra vendor che aiutino il mercato a crescere. Le scelte di interoperabilità e la federazione di cloud europea Gaia-X vanno in questa direzione, ha detto Minenna, ma esistono situazioni “che per certi versi ricordano l’abbandono di un provider di Adsl tempo fa, un’impresa titanica”.
Sul fronte del Dma, anche l’Europa è in ascolto. L’europarlamentare Andrea Caroppo, che è membro della Commissione per il mercato interno e quella per la protezione dei consumatori e lavora attivamente al Dma, ha riconosciuto che l’ecosistema attuale favorisce i gatekeepers, ossia le Big Tech che contribuiscono a risucchiare l’ossigeno della concorrenza e dell’innovazione, e ha ammesso sia l’inefficacia delle normative antitrust classiche, sia il ritardo con cui l’Ue si sta approcciando a questo aspetto della regolamentazione. Difatti il Dma (e il complementare Digital Services Act) sono pensati come normative orizzontali “ma anche ex ante, perché non possiamo più rincorrere il mercato”, e partono dalla designazione dei gatekeeper.
Caroppo ha confermato che metà dei dieci principi sono già presenti nella bozza del Dma. Ora si tratta di rintracciare gli elementi mancanti, come l’interoperabilità tra servizi e divieto di lock-in, negli emendamenti presentati e nel draft report, ha spiegato l’europarlamentare. La speranza è che il resto delle norme di fair software licensing si facciano strada nella bozza del Dma prima che questa prenda forma definitiva, verso fine anno.