Draghi-Mattarella è una coppia, a mio avviso, inscindibile: simul stabunt vel simul cadent, o quanto meno un Draghi senza Mattarella sarebbe non dico “delegittimato” ma sicuramente più debole nell’incisività delle sue politiche. Può il Paese permetterselo? La bussola di Corrado Ocone
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella compie oggi ottant’anni. E l’anniversario pieno coincide con l’approssimarsi del semestre bianco, il periodo di sei mesi precedenti la scadenza del mandato in cui sarà possibile sciogliere le Camere.
Tempo di bilanci, certo, ma anche di incognite sul futuro: Mattarella punta davvero alla rielezione, come dicono gli apparentemente “bene informati”, o pur non desiderandolo cederà comunque alle lusinghe dei partiti che probabilmente glielo chiederanno? E un prolungamento del suo mandato sarebbe in linea di massima un bene o un male per il Paese? E se fosse Draghi ad andare al Quirinale, si andrebbe subito alle elezioni e con quali prospettive? E le politiche “emergenziali” ed “europeistiche” imposte da Draghi continuerebbero senza indugi?
Tante domande in un gioco d’incastro in cui allo stato attuale non è facile ancora districarsi. Probabilmente proprio i sei anni e passa del mandato di Mattarella, ci danno qualche chiave per orientarci. Prima di tuto, sul ruolo che un Capo dello Stato viene a svolgere nella Costituzione materiale del nostro Paese. Definirlo, come è stato fatto tante volte, “a fisarmonica” non è sbagliato: quando la situazione politica ha una sua stabilità, come è avvenuto nella prima parte del settennato, il Presidente della Repubblica si ritira; quando invece il sistema si imballa egli svolge un ruolo non secondario e diventa un attore politico a tutti gli effetti.
E così è stato dopo che le elezioni dell’aprile 2018 ci hanno consegnato un Parlamento sostanzialmente ingovernabile. In quel frangente, Mattarella decise di far decantare la situazione. E fu una scelta opportuna perché andare subito alle urne non avrebbe portato significativi chiarimenti: i Cinque Stelle avevano il vento in poppa e la Lega non era ancora cresciuta come ha fatto nell’anno in cui Salvini è stato agli interni. Quando il primo governo Conte cadde, probabilmente c’erano tutti gli estremi per andare al voto. Ma Renzi e Conte furono tanto rapidi nella loro giravolta “trasformistica” che Mattarella non poté fare altro che certificare, come la Costituzione gli imponeva, la nascita di una nuova maggioranza in Parlamento.
Ma la prova più dura al Presidente della Repubblica doveva toccare col Covid, anche perché il governo in carica si dimostrò incapace di affrontare in un’ottica di emergenza nazionale, e quindi di collaborazione con l’opposizione (come Mattarella sollecitava), oltre che con efficacia, la situazione. La soluzione Draghi poteva in qualche modo essere favorita con molto anticipo. Fatto sta che quando fu Renzi a provocare la crisi di governo e Conte si mostrò incapace di trovare una maggioranza di “responsabilità”, in un colpo solo, in un indimenticabile pomeriggio domenicale, Mattarella convocò l’ex presidente della Bce e insieme a lui stabilì le regole d’ingaggio per un governo tecnico-politico mai visto prima di allora.
Fu un capolavoro, dal punto di vista del Paese ma anche da quello politico. Draghi, sicuramente d’accordo col Presidente, avocò a sé le politiche sensibili per la ripresa del Paese ma nello stesso tempo chiamò ad una prova di responsabilità e di maturità gli stessi partiti non uno escludendone e instaurando un corretto rapporto con l’unico che si era autoescluso. Cioè con l’opposizione, come è normale che sia in una democrazia. Il capolavoro mattarellian-draghiano era anche un invito sottinteso alle forze politiche a superare quel meccanismo di delegittimazione morale dell’avversario che è la vera tara della nostra democrazia.
Che l’invito non sia stato raccolto è un dato di fatto, ma che la responsabilità sia tutta in capo ai partiti è altrettanto evidente. Questo per dire che Draghi-Mattarella è una coppia, a mio avviso, inscindibile: simul stabunt vel simul cadent, o quanto meno un Draghi senza Mattarella sarebbe non dico “delegittimato” ma sicuramente più debole nell’incisività delle sue politiche. Può il Paese permetterselo? Secondo me la soluzione più razionale sarebbe una riconferma di Mattarella per un breve periodo in modo da permettere a Draghi di finire il lavoro, e poi andare alle urne a scadenza naturale. Con un nuovo governo affidato alle forze politiche, e il Paese rimesso in carreggiata. A quel punto, il Presidente della Repubblica potrà ritenersi soddisfatto: avrà ritardato di un annetto la pensione, ma avrà servito il Paese fino in fondo. Tanti auguri.