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Cos’hanno in comune l’Iran e la Norvegia? Il controllo dei social

La mappa dei Paesi che regolano i contenuti postati in rete. Per motivazioni politiche, ma non solo… Dal Vietnam all’Arabia Saudita, ecco tutti i dettagli

Non tutto è libertà sui social network. In Vietnam, il governo è pronto ad approvare nuove regole sui contenuti che sono trasmessi in rete. Saranno regolati i contenuti postati sulle piattaforme Facebook, YouTube e TikTok, con l’obiettivo di controllare le informazioni pericolose per la stabilità sociale e politica del Paese.

Il progetto di legge proposto dal ministero dell’Informazione e delle comunicazioni del Vietnam è stato presentato a inizio mese, dopo un periodo di audizioni pubbliche. Secondo l’agenzia Nova, il testo del decreto sotto analisi obbliga le piattaforme dei social network che operano nel Paese a fornire alle autorità di Hanoi le informazioni dei titolari di account che effettuano trasmissioni live e che contano più di 10mila follower. Ai social verrà anche richiesto di bloccare o rimuovere entro 24 ore i contenuti oggetto di “segnalazioni giustificate” da parte di individui o organizzazioni.

Una nota del ministero spiega che le autorità “sono responsabili di individuare i contenuti che comportano violazioni sulla base dei loro rispettivi ambiti di competenza. Faranno capo al ministero dell’Informazione e delle comunicazioni, che è incaricato di richiedere alle imprese transnazionali la gestione e la rimozione dei contenuti irregolari”.

Il Vietnam è uno dei Paesi con più giornalisti arrestati. Le autorità da tempo bloccano l’accesso ai siti web critici al governo, tra cui ci sono blog con il dominio all’estero. A settembre del 2013 è entrata in vigore una legge di censura statale per le piattaforme dei social, che ha definito i reati per la pubblicazione di contenuti “che si oppongono allo Stato” o che “pregiudicano la sicurezza nazionale”. Almeno tre blogger sono stati condannati con sette anni di carcere per questi reati

Ma il Vietnam non è l’unico Paese che controlla gli “influencer”. In Iran la pratica di arrestare giornalisti è nota. Infatti, nel 2009 è diventato il Paese con più professionisti dell’informazione dietro le sbarre. Le autorità iraniane contano con uno dei sistemi più sofisticati di censura della rete. Milioni di siti internet sono bloccati, tra loro siti di informazione e social network. Il regime iraniano frequentemente interferisce sui segnali satellitari. Per “facilitare” i matrimonio “duraturi e consapevoli” il regime ha aperto un’app di incontri , Hamdam – compagno in lingua persiana – che è già stata ribattezza “Tinder all’islamica”.

Anche in Arabia Saudita la monarchia ha intensificato la repressione online dalla Primavera araba. Dal 2011 è penalizzata qualsiasi pubblicazione di contenuti che violano la legge islamica, o che attenta contro gli interessi dello Stato, la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, a favore di agenti stranieri. Nel 2014 è stata approvata una legge “antiterrorismo” che condanna le espressioni critiche al governo o di interpretazione dell’Islam, mentre la Commissione generale dei media audiovisivi vigilano i contenuti pubblicati su internet e YouTube.

Infine, in Norvegia è stata approvata a inizio mese una legge che controllerà le immagini postate sui social network. La normativa vieta la diffusione di foto ritoccate. L’obiettivo è indicare con un’etichettatura – disegnata dalle autorità – se sono stati modificati colore della pelle o alcune parti del corpo per contribuire a “ridurre la pressione della società sui corpi idealizzati dalla pubblicità e il marketing”. La legge sarà applicata ai social ma anche agli avvisi pubblicitari, riviste e giornali.

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