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Quella strana freddezza italica sul Fit for 55. Il commento di Paganini e Morelli

Di Pietro Paganini e Raffaello Morelli

Gli italiani dovrebbero riflettere attenti sulla freddezza con cui le grandi testate, cartacee, social e tv, hanno trattato la notizia del lancio da parte della Commissione Ue del programma Fit for 55, che ha l’obiettivo di ridurre le emissioni nette a zero nel 2050 passando, entro il 2030, a livelli non superiori al 55% di quelli del 1990. Una freddezza ben strana, se paragonata… L’opinione di Pietro Paganini e Raffaello Morelli

Gli italiani dovrebbero riflettere attenti sulla freddezza con cui le grandi testate, cartacee, social e tv, hanno trattato la notizia (14 luglio) del lancio da parte della Commissione Ue del programma Fit for 55, che ha l’obiettivo di ridurre le emissioni nette a zero nel 2050 passando, entro il 2030, a livelli non superiori al 55% di quelli del 1990.

Una freddezza ben strana, se paragonata all’eccitazione con cui, nella stessa materia di inquinamento ambientale, sono stati esaltati per mesi i proclami della stella mediatica Greta. Oltretutto visto che la Commissione Ue aveva da tempo annunciato un lancio del genere. E inoltre visto che sarà esaminata dal Parlamento europeo questa proposta, che ridisegna il mercato delle emissioni, la tassa sul carbonio alla frontiera (Cbam), le direttive su energia, trasporti, tasse, insomma il funzionamento dell’economia. Anche con l‘obiettivo dell’indipendenza energetica europea.

Tra l’altro, le medesime grandi testate, hanno già iniziato ad ospitare le reazioni critiche all’iniziativa espresse da associazioni di Confindustria ed anche dal ministro Cingolani, tutte in vario modo preoccupate dei costi dell’operazione destinati a cadere sulla competitività di ogni azienda toccata e quindi sugli italiani.

La riflessioni su questa strana freddezza dovrebbero partire dal considerare che Fit for 55 è una sorta di cornice per ottenere i soldi del Pnrr e dunque cui l’Italia deve adempiere solo per questo. Oltre tale aspetto di metodo ( già determinante di per sé), c’è quello del merito (altrettanto cogente).

Se gli impianti operativi in Italia producono un eccesso di CO2 rispetto ai parametri stabiliti dalla Commissione Ue, questo eccesso va ridotto per farlo rientrare nei limiti, senza tergiversare e senza ipocrite furbizie tecniche. Farlo non è avallare il presunto dirigismo Ue, significa seguire i classici principi della libera conoscenza del mondo.

L’inquinamento da CO2 è pericoloso per la salute dei cittadini e provoca i forti costi delle cure rese necessarie. Né ha senso invocare dati veri (tipo che a livello mondiale l’Ue contribuisce all’inquinamento CO2 per una quota intorno al 16/17% ) ma non affrontare la sfida. Intanto perché la salute dei cittadini è soprattutto insidiata dalla CO2 prodotta nelle nostre zone, e in ogni caso perché l’Ue con il Fit for 55 punta a trainare gli Usa e i due insieme finiranno per trainare anche i grandi inquinatori, Russia, Cina e India. Staremo tutti meglio applicando la conoscenza, non arrampicandoci sugli specchi per inquinare più degli altri.

Porsi l’obiettivo di ridurre l’inquinamento, comporta accelerare sulla decarbonizzazione. Dunque, secondo il Fit for 55, fare una riduzione del 4,2% all’anno e un taglio netto alle quote di inquinamento finora “a titolo gratuito” (per mantenere la competitività delle industrie europee). Appunto per questo dal 2026 ci sarà il Cbam, per far pagare agli importatori il carbonio prodotto oltre la frontiera. E, cosa decisiva, per accelerare sulla decarbonizzazione, ci sarà anche (oltre a vari accorgimenti) un fondo sociale per otto anni (2025-2032) intorno ai 72 miliardi di euro per ammortizzare i nuovi costi. Ciò finalizzato ad attivare la transizione, mettendo al riparo, nel farla, le fasce più deboli dei cittadini.

Come si vede, non hanno molto senso la fredda ritrosia e le critiche alla proposta Fit for 55. Specie se sono indotte – qui sta il nodo della riflessione – non da valutazioni circa la natura della proposta, ma piuttosto dal tentativo di sfuggire al dover mutare abitudini consolidate (e relativi privilegi) nella tipologia degli impianti adoperati in Italia. Al momento tali impianti – siano le raffinerie ENI o quelli di trattamento rifiuti appartenenti a varie imprese – rilasciano in atmosfera un forte miscuglio di CO2 e di gas tossici. Ed è evidente che ridurre tali emissioni non si ottiene con artifici elusivi della sostanza tecnologica del problema (quali voler catturare in via stabile le emissioni inquinanti, che restano).

Il Fit for 55 spinge a rinnovare, in modo drastico e prima possibile, la tecnologia così da produrre una minor quantità di emissioni inquinanti. Non vanno gonfiate le ritrosie e le critiche di chi vuol conservare le vecchie abitudini e privilegi. Utilizzando gli strumenti già previsti dall’Ue, il ministro alla Transizione Ecologica deve impegnarsi a spezzare le resistenze ad innovare la tecnologia degli impianti e la mentalità delle burocrazie, che rimangono il freno alla ripresa italiana.

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