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Raid negli uffici di Didi. Così Xi mette le mani sul fintech cinese

Gli ispettori di sette agenzie governative cinesi negli uffici di Didi, la Uber cinese. Difesa dei consumatori o del leader? Visti i precedenti dell’ultimo anno, è lecito avere qualche dubbio

Non sembra destinata ad allentarsi presto la morsa delle autorità cinesi sui colossi del fintech. Anzi. Nelle ultime ore l’agenzia di spionaggio e altri sei ministeri hanno inviato degli ispettori negli uffici di Didi, la risposta cinese a Uber, finita nel mirino di Pechino da quando a fine giugno è sbarcata a Wall Street con un’offerta pubblica iniziale che ha permesso di raccogliere oltre 4,4 miliardi di dollari. In una dichiarazione congiunta, le autorità di regolamentazione del mercato e del cyberspazio, nonché cinque ministeri, hanno annunciato di aver inviato squadre di ispettori presso la sede di Didi per esaminare i problemi di sicurezza relativi ai dati personali.

Dopo aver spinto le sue imprese a diventare maggiormente globali, ora Pechino sta assumendo un atteggiamento di maggiore cautela in un contesto di crescenti tensioni con Washington. In questo quadro appare intenzionata a rendere più difficili le quotazioni all’estero, specialmente negli Stati Uniti, delle aziende cinesi per il timore che possa essere messa a rischio la sicurezza dei dati raccolti in patria.

Il caso Didi ricorda la stretta dei regolatori cinesi dell’anno scorso, che hanno ritirato quella che sarebbe stata l’offerta pubblica iniziale da record di Ant Group, società affiliata ad Alibaba, colpendo il colosso con una multa di 2,8 miliardi di dollari all’inizio di quest’anno come parte di un’indagine anti-monopolio. E l’ultima mossa delle autorità cinesi “è probabile spaventi ulteriormente gli investitori” e suggerisce che la durata delle indagini – che coinvolgono diversi dipartimenti – non sarà breve, come evidenzia il Financial Times.

“in combinazione con una campagna anti-monopolio che ha preso di mira soprattutto le aziende fintech come Alibaba e Tencent, la sicurezza dei dati rappresenta l’ultimo campo in cui lo Stato [cinese] sta cercando di rafforzare il suo controllo su un settore che una volta era noto per la sua regolamentazione lasca”, spiega un rapporto della Jamestown Foundation curato da Elizabeth Chen.

L’esperta evidenzia che il complesso dibattito sulla sicurezza dei dati in Cina rispecchia quello in corso nel resto del mondo che riguarda la volontà di riequilibrare i poteri tra Stato, aziende tecnologiche e cittadini-consumatori. Ma su questo dossier la Cina è indietro rispetto all’Occidente: “come Paese in via di sviluppo con istituzioni sottosviluppate, la tecnologia non sta rafforzando le istituzioni esistenti, le sta creando”, ha spiegato la venture capitalist Lillian Li.

“Su alcune questioni, come la privacy dei consumatori, le leggi cinesi sono all’avanguardia dei quadri normativi globali sui dati, e le misure antitrust e di sicurezza dei dati dello Stato contro le aziende tecnologiche nazionali sembrano rispondere alle preoccupazioni dei cittadini sulla concorrenza di mercato e sulla privacy”, spiega Chen. Tuttavia, gli sforzi cinesi per la sovranità informatica, e in particolare per la localizzazione dei dati, rischiano “di frammentare i flussi internazionali di dati liberi” danneggiando così lo sviluppo “sia all’interno che all’esterno della Cina”. Senza dimenticare gli interrogativi che permangono sulla raccolta dei dati da parte degli organi statali.

Il 14° piano quinquennale di sviluppo della Cina ha sottolineato l’importanza di accelerare l’“informatizzazione” e lo sviluppo del Paese come “superpotenza digitale”, che teoricamente include la condivisione e la divulgazione pubblica dei dati in possesso del dal governo. Ma basta guardare al recente caso di un database giudiziario pubblicato ma in versione ridotta di quasi il 10% per comprendere le preoccupazioni di chi si batte per la trasparenza.

E con questi dubbi sulla capacità dello Stato cinese di proteggere i cittadini dagli abusi del governo – specie con la leadership di Xi Jinping che si è fatta notare anche per l’utilizzo delle tecnologie emergenti come strumento di controllo della popolazione – torniamo al tema di partenza, con un dubbio: davvero le mosse cinesi contro i colossi tecnologici sono pensate con logiche di concorrenza e privacy o forse queste ultime sono pretesti utilizzati dal regime per arginare l’ascesa di giganti come Alibaba o di figure come Jack Ma, potenzialmente in grado di scalfire l’immagine del leader?

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