Prima di commentare il motu proprio “Traditionis Custodes” di papa Francesco, sarebbe necessario quantomeno un “galateo ecclesiale”. Ricordando l’intenso rapporto tra Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, “amico fidato” anche di fronte ad alcune sue clamorose iniziative. Il commento del teologo Simone Billeci
Da più di 8 anni, ormai, fedeli e non, assistono stanchi, e forse anche annoiati, all’inerte riproposizione di un monotono palinsesto. Sono sufficienti, infatti, un semplice gesto, una parola pronunciata o una scelta pastorale del successore dell’apostolo Pietro perché si rappresenti la solita messa in scena. Lo spettacolo prevede sempre lo stesso copione: quello di una farsa, i cui attori rivendicano per se stessi i ruoli di protagonisti.
Alzato il sipario si ascoltano le voci confuse di sedicenti teologi o pseudo custodi della fede che recitano una falsa dottrina e, tronfi e pieni di sé, attendono gli applausi insieme ad un “dichiarato” direttore d’orchestra che non hanno mai davvero seguito, causando piuttosto forti stonature al corale sentire.
Una conoscenza vera del profilo biografico, prima ancora che bibliografico di Joseph Ratzinger, a proposito di quanto sta accadendo all’indomani della lettera inviata dal Pontefice ai vescovi di tutto il mondo per accompagnare il testo del motu proprio “Traditionis Custodes”, sarebbe già sufficiente per fornire quantomeno un “galateo ecclesiale”.
Per 24 anni abbiamo assistito all’intenso legame tra Giovanni Paolo II e il card. Ratzinger. Legame che Wojtyla ha voluto rendere noto, un anno prima di morire, tra le righe del suo volume autobiografico Alzatevi, andiamo!. Ratzinger, infatti, fu l’unico dei collaboratori del Papa polacco ad essere citato, quale “amico fidato”. Il Papa dei gesti e dei grandi viaggi aveva bisogno di un collaboratore che fosse una garanzia di equilibrio dottrinale; un “amico fidato” che pensasse a difendere e a promuovere la sana dottrina.
Molto diverso da Giovanni Paolo II per formazione e sensibilità, ma legato a lui da un’obbedienza spirituale a tutta prova, Ratzinger non fu d’accordo istintivamente con alcune delle sue clamorose iniziative, come la giornata di preghiera mondiale per la pace ad Assisi e il mea culpa della Chiesa durante l’Anno Santo. Eppure l’obbedienza del teologo bavarese non solo gli fece abbracciare la profezia di Wojtyla, ma gli fece mettere la propria alta dottrina al servizio delle intuizioni del Papa polacco.
Oggi, forse, prima ancora di una mera riproposizione del pensiero teologico di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, sarebbe auspicabile guardare con atteggiamento di ricerca alla sua stessa vita, per imparare la lezione più bella. “Coepit facere et docere”: questa, forse, la vera lezione da considerare.