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Riforma degli 007? Serve anche per gli agenti sul campo, dice il colonnello Obinu

Mauro Obinu (ex Ros, Sisde e Aisi) spiega perché la necessità di una riforma dell’intelligence “si fa sentire” per gli infiltrati in organizzazioni terroristiche e nell’ottica di collaborazione con agenzie di altri Paesi

Ragionando sull’esigenza della riforma della legge 124 del 2007 sui servizi d’intelligence, Mauro Obinu, colonnello dell’Arma dei Carabinieri in congedo oggi vicepresidente di Humint Consulting, pone l’accento sulla necessità di potenziare la human intelligence. Ex vice comandante del Ros, un passato anche nel Sisde e nell’Aisi, è una delle migliori testimonianze che la humint può giungere laddove altre funzioni di intelligence non riescono a farlo.

Della necessità di riforma, a cui aveva aperto un mese fa anche l’Autorità delegata Franco Gabrielli in audizione alla Camera (“È arrivato il tempo di rivisitare la legge 124”), hanno recentemente parlato a Formiche.net Giorgio Mulè, sottosegretario alla Difesa, e i deputati Alberto Pagani del Partito democratico, Matteo Perego di Cremnago di Forza Italia e Angelo Tofalo del Movimento 5 stelle, tutti e tre membri della commissione Difesa di Montecitorio.

Un bisogno che, sostiene Obinu parlando con Formiche.net, “si fa senz’altro sentire” in termine sia “di efficacia operativa” sia “sistemica”.

“Operativa nel senso reale del termine. Un operativo che si ritrova all’interno di un contesto nemico attualmente trova diverse garanzie che lo aiutano a muoversi ma anche alcuni vincoli”, dice con riferimento al capo III della norma. “Si tratta di vincoli giustificati dal tempo in cui la legge 124 mutò le regole dei servizi”, continua. Ma oggi serve “mutare questa singolarità dell’intelligence, la humint, per favorire l’operatività ma anche per far lavorare tranquilli gli agenti”.

Obinu parla anche di efficacia sistemica. “Se il sistema d’intelligence nazionale può intravedere modifiche a favore di chi opera sul campo, allora è tutto il sistema che viene migliorato”, spiega. “Perché chi opera non è mai da solo. Se l’operativo sul campo si trova parzialmente svincolato da alcuni paletti attuali, tutto il sistema ne beneficia”.

C’è poi una questione di cooperazione tra Paesi che “è meglio dire collaboranti, non amici”, continua Obinu. “La comunità d’intelligence, intensa come i servizi d’intelligence e di sicurezza europei e degli altri Paesi extra Ue di cui sopra, attualmente incontra dei gap collaborativi poiché ogni sistema nazionale ha le proprie tradizioni ma anche le proprie leggi che determinano la humint”. Ecco perché serve, dice, “ragionare per riformare” la legge “anche rispetto a frequentissimi momenti di collaborazione”.

“Le faccio un esempio”, continua: “quello di un operatore infiltrato in un’organizzazione terroristica che opera tra Italia e Francia e che si trova a dover andare in Francia, Paese che ha le sue norme. Eventuali condotte ‘scivolose’ messe in atto lì possono non rientrare nella copertura che, invece, il nostro sistema gli garantisce”. C’è un precedente da cui prendere spunto, quello della collaborazione transfrontaliera nell’antidroga: “Può essere utile per il mondo intelligence, in particolare humint, ripercorrere quanto fatto in quel caso”, osserva.

Come procedere? Obinu indica due strade ai soggetti titolati, a partire dal Copasir. La prima: “Serve un bel giro d’orizzonte per mutuare quello che fanno altri Paesi occidentali dello stesso taglio nostro che garantiscono migliore operatività e maggiori tutele per gli operatori humint”. La seconda: guardare “alle esperienze, anzi ai fallimenti, sul campo. È tipico dei ‘metodisti’ anglosassoni, soprattutto degli inglesi”, prosegue, “prendere in esame, ogni tot anni, i cold case, ovvero i casi falliti: li esaminano a caccia dei difetti di quella manovra al fine di migliorare il sistema”. Per questo, chiosa Obinu,“serve ascoltare anche chi ha lavorato sul campo, chi è rimasto frustrato dal non aver potuto fare alcune cose”.


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