Il Pnrr è, infatti, un contratto con scadenze precise. Se non si ottempera, i rubinetti non si aprono o, se aperti, vengono immediatamente richiusi e, se del caso, l’Ue può chiedere allo Stato inadempiente la restituzione di quanto versato. L’analisi di Giuseppe Pennisi
Il Consiglio dei ministri economici e finanziari (comunemente chiamato Ecofin) dell’Unione europea (Ue) ha approvato nella seduta di ieri 13 luglio, i Programmi di ripresa e resilienza (Pnrr) di sei Stati dell’Unione, tra cui quello dell’Italia. È un forte segnale di fiducia nei confronti del Paese e del governo che nel giro di poche settimane ha rivoltato come un calzino la bozza di documento predisposta dal governo Conte II ed ha reso accettabile un testo che alti funzionari della Commissione europea avevano giudicato impresentabile.
C’è grande esultanza. Ora si attende l’”anticipo” di 25 miliardi (13% dell’importo totale) che dovrebbe arrivare presto. E che le nostre casse attendono. Il condizionale, però, è d’obbligo perché l’erogazione del Pnrr è condizionale al varo ed all’attuazione delle riforme concordate con l’Ue e che dovrebbe permettere all’Italia di rimettersi in marcia dopo oltre vent’anni di stagnazione e tre crisi, due finanziarie ed una pandemica.
Il Pnrr è, infatti, un contratto con scadenze precise. Se non si ottempera, i rubinetti non si aprono o, se aperti, vengono immediatamente richiusi e, se del caso, l’Ue può chiedere allo Stato inadempiente la restituzione di quanto versato.
Due riforme sono attese per le prossime settimane tramite varo di apposite leggi delega: la prima fase di quelle della giustizia e della pubblica amministrazione. A proposito della seconda, ci sono stati un po’ di sussurri e grida da parte di alcuni sindacati (soprattutto di quelli della scuola a cui sembra interessare poco cosa si insegna e come, ma hanno come obiettivo principale la “sistemazione”, per così dire, dei “precari”), ma non sembra che ci siano forti opposizione politiche alla riforma dei concorsi; tale riforma ha una forte base teorica nei lavori di A. Michael Spence il quale, proprio per questi studi ottenne nel 2001 il Premio Nobel per l’Economia.
Più complicata è la sorte della legge delega sulla riforma della giustizia, il cui testo è stato approvato dal Consiglio dei ministri dopo una lunga trattativa tra le forze politiche sulla base di un testo proposto dalla ministra Cartabia. Il testo ha l’obiettivo di ridurre la durata dei processi, come ci chiede da anni l’Ue e come è buona prassi in tutti i Paesi di civiltà giuridica. Non tocca altri temi, come la separazione delle carriere che renderebbero l’ordinamento italiano più simile dell’attuale a quelli delle altre democrazie liberali. È poca cosa rispetto ai sei referemdum per i quali i promotori stanno raccogliendo le firme. È possibile che si metta di traverso l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che si considera (a suo personale giudizio) ingiustamente sfrattato da Palazzo Chigi ed è da settimane in attesa di essere incoronato leader (sotto benevola tutela) del Movimento 5 Stelle (M5S).
La determinante sembra essere più personale che politica: la revisione della norma sulla prescrizione quale voluta dal ex-allievo (all’università di Firenze) Bonafede, a sua volta, nella passata legislatura lo propose come componente laico, ossia non togato, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e nell’attuale come presidente del Consiglio dei ministri.
Mettiamo a rischio il supporto europeo per uno scambio di cortesie tra maestro ed allievo? Uno scambio forse in malafede.