I partiti di destra all’opposizione a Strasburgo firmano una Carta dei valori. Nell’“Appello per il futuro dell’Europa” elementi conservatori e identitari, ma anche liberali. Netta scelta atlantista ed europeista. Firmano sia la Meloni sia Salvini, che spiega al Financial Times le ragioni della Lega in Italia. L’auspicio di Corrado Ocone
Che la più parte dei partiti europei che si trovano all’opposizione dell’attuale maggioranza che governa l’Unione abbiano trovato un’intesa, cioè un minimo comune denominatore che le accomuna pur nella loro diversità, è un buon segnale per tanti aspetti. Prima di tutto perché quel minimo comune denominatore le forze che sono invece al governo, anche loro diversissime se si pensa che si va dai popolari ai socialisti, quella compattezza di intenti l’hanno trovata da tempo e hanno persino delineato, con la Commissione presieduta da Ursula von der Layen un’agenda politica forte e radicale per i prossimi anni. E questa situazione asimmetrica era comunque un vulnus per la democrazia europea, visto che due fronti che suppergiù si equivalgono nelle urne si presentavano, fino ieri, appunto uno compatto e l’altro diviso.
Ma il segnale è ancora maggiore se si pensa che l’accordo è stato raggiunto sui valori e non sugli interessi, che sono pure legittimi ma non devono far dimenticare l’evidenza che non si può costruire una entità politico-sociale senza trovarle un’anima, solo in virtù di un astratto proceduralismo.
Ma l’aspetto ancora più positivo o confortante è che il documento, mettendo da parte toni e posture estremiste, che pur ci sono state in passato, non può essere accusato minimamente di antieuropeismo: forze che, a torto o a ragione poco importa, sono state tacciate di Euroexit, di nazionalismo isolazionista, “sovranismo” (una parola che sarebbe un bene se scomparisse presto dal lessico politico) affermano solennemente nella Carta dei valori testé presentata di credere nell’Europa, nel patto atlantico, in tutto quello che di buono si è fatto dal secondo dopoguerra ad oggi per creare sul continente le condizioni ideali per la pace, della prosperità e dello sviluppo.
Come leggere tutto questo? Si tratta di tatticismo e opportunismo politico, oppure di un concreto “inurbamento” dei “barbari”? Credo che la risposta più plausibile la si possa trovare nell’intervista/lunch che Matteo Salvini ha rilasciato al “Financial Times” per la seguitissima rubrica dell’edizione del week end (e il cui testo è stato anticipato online).
È chiaro che “l’Europa – ha detto il leader della Lega, che è uno dei più forti elettoralmente fra quelli che hanno firmato il documento – stia cambiando in meglio, dandosi nuovi strumenti e nuove regole, e noi dobbiamo accompagnare questo processo”. In sostanza, noi potremmo dire che il passo si è compiuto da entrambe le parti e che forse, auspicabilmente, dal “noi” contro “loro”, dall’una e dall’altra parte, si stia passando finalmente ad una normale dialettica democratica. Nella Carta, fra l’altro, oltre a temi conservatori classici, anche se vogliamo controversi, ad esempio l’insistenza sulla famiglia come “base naturale” della società, ci sono parole forti che suonano come musica alle orecchie di un liberale: mi riferisco all’insistenza sul fatto che l’Unione Europea non possa costruirsi come un super-Stato e decidere “costruttivisticamente”, e per di più con un palese deficit democratico, politiche da far cadere dall’alto.
Si parla esplicitamente di “ingegneria sociale”. Un elemento che nell’intervista di Salvini, che non esita a definire la Lega una forza liberale (e assolutamente non estremista perché di governo e di buona amministrazione in tantissime realtà locali), viene fuori con particolare evidenza. Tre considerazioni finali: una relativa all’ Unione Europea, la seconda alle forze politiche presenti in Parlamento, la terza all’Italia. Nel primo rispetto, anche la lunga discussione svoltasi in seno al Consiglio la settimana scorsa, indipendentemente dalla messa in mora dell’Ungheria, è stato un passo in avanti: finalmente si discute di valori, e soprattutto si discute e non si dà nulla per scontato. La seconda notizia concerne l’identità della forza cerniera a Strasburgo: il Ppe. Siamo sicuri che la collocazione dei popolari, con verdi e socialisti, sia oggi quella giusta, anche a fronte della loro storia?
Per quel che concerne infine l’Italia, la compresenza fra i firmatari sia del partito di Salvini sia di quello della Meloni fa ben sperare per una loro unità futura pur nella reciproca diversità: una coesione necessaria per la stabilità di un prossimo e probabile governo di centrodestra.
Last but not least: non potrebbe essere che fra il giacobinismo illuminista e il controilluminismo reazionario, anche questa volta come già nell’Ottocentro, non trionfi, con le ovvie mutazioni ovviamente, e questa volta a livello europeo, il sano costituzionalismo liberale? Un auspicio il mio, e forse anche una nota di troppo positivo ottimismo. Ma credo che oggi sia legittimo farla.