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Salvini, Meloni e la ricerca della coesione perduta. La bussola di Ocone

La scelta dei candidati per le amministrative ha messo in luce il problema dell’unità del centrodestra. Allora è necessario, casomai immediatamente dopo le elezioni, agire lungo due direttrici per non rischiare di arrivare impreparati alla prova del governo. Ecco quali nella bussola di Corrado Ocone

Se si votasse oggi, la coalizione di centrodestra vincerebbe e avrebbe anche i numeri per formare un governo. Il che non è avvenuto in questa legislatura per mancanza di numeri, appunto, mentre a livello locale l’alleanza ha continuato a funzionare. Anche se poi la Lega, che della coalizione è il principale partito, si è trovata per due volte in maggioranza, nel primo governo Conte e in quello attuale di Draghi e solo una volta all’opposizione. Meno “governativa” Forza Italia, che è solo ora con Draghi che è in maggioranza, mentre Fratelli d’Italia è stata sempre all’opposizione.

Geometrie variabili, come si vede. Tanto che la domanda che sorge spontanea agli osservatori è se questo elemento sicuramente dividente, unito casomai alla “rivalità” che sembra essere sorta per la leadership fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, possa influire sulla coesione interna di una eventuale, e a questo punto altamente probabile, futura maggioranza di governo post-Draghi. In verità, molti di questi analisti manifestano il loro scetticismo sull’unità del centrodestra anche guardando al modo, senza dubbio tortuoso e travagliato, con cui si è arrivati alla scelta dei candidati a sindaco nelle principali città ove si voterà in autunno.

Si tratta, ovviamente, di un problema, questo dell’unità, non solo del centrodestra, ma anche dell’Italia, che merita, dopo la cura draghiana, un governo politico a tutti gli effetti e senza troppi e destabilizzanti travagli interni. E a poco vale consolarsi col fatto che la sinistra sconta problemi ben altrimenti gravi in ordine a queste questioni.

Come uscirne? Io penso che sia necessario, casomai immediatamente dopo le elezioni amministrative, agire lungo due direttrici: avviare dei tavoli di consultazione, ad esempio tematici, fra gli alleati che portino alla stesura di un programma di governo condiviso; far crescere a livello locale, e poi promuovere a livello nazionale, una classe dirigente adeguata ai problemi attuali della società italiana. Certo, chi scrive non ha il mito del “programma”; e sa bene che, nella concreta azione, i programmi vengono dissolti da quella forza vitale e incontrollabile che è appunto lo spirito politico. Eppure, i tavoli servirebbero come prova generale di quel coordinamento che non potrà non esserci.

Sullo sfondo resta però sempre, non chiarito, il problema ideale, di cultura politica. A me sembra evidente che il futuro centrodestra avrà due anime: una conservatrice e nazionale e l’altra pragmatica e liberale (post-ideologica se vogliamo). Come tradurre ciò a livello di policies non dovrebbe essere però un problema secondario o da rimandare. Certo, la prova di tutte le buone intenzioni unitarie sarà l’elezione del Presidente della Repubblica: la destra non ha in questo Parlamento voti sufficienti ad eleggere da sola il Capo della Stato, così come non li ha la sinistra. I giochi sono aperti, e le manovre sono forse già iniziate.

Se dovesse saltare una soluzione bipartisan (credo che solo i nomi di Mattarella e Draghi possano in prospettiva aspirare a un consenso che sfiori l’unanimità), è evidente che è interesse della sinistra dividere la destra. Se Salvini e Meloni riusciranno a invertire questo esito del gioco, dividendo loro invece gli avversari, avrebbero segnato già un primo sostanziale punto a loro favore e spianato la strada al loro governo.


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