Una Destra che si appresta a diventare maggioritaria nel Paese come vuole contrastare la tanto vituperata “egemonia culturale della Sinistra”? Abbiamo reso bandiere i soggetti che quarant’anni fa Marco Tarchi prendeva in giro sulla Voce della fogna, una nuova intellighenzia che sa solo urlare “radical chic”, “professoroni”, “sinistronzi” e “piddioti”. Riflessioni semiserie di Antonio Pellegrino
Viviamo tempi ridicoli. Questo pensiero si sussegue di generazione in generazione e per quanto riguarda la nostra è già stato sviscerato in tutti i modi possibili, a tal punto che l’ennesima critica suona come un semplice lamento. Nulla di nuovo dunque, Spengler parlava di tramonto dell’Occidente già centotre anni fa e a rileggerlo oggi sembra anche sin troppo ottimista, l’unica novità rispetto ai decenni passati è che anche questo argomento ha subito la sua deriva nazionalpopolare: se qualche anno fa concetti come la cancel culture, la deriva anglosassone sui diritti civili e l’estrema polarizzazione del dibattito erano limitati alla nicchia del giornalismo, dell’università e dei convegni, oggi sono in pasto a chiunque e in maniera del tutto indiscriminata.
“Non si può più dire nulla” ripete la signora al supermercato, “ma che è sto gender?” Si domanda in pausa pranzo l’impiegato; insomma l’attualità come al solito supera i confini istituzionali concludendo la sua naturale evoluzione nella chiacchiera da bar. La radice di questo male è sempre la stessa, la semplificazione, che forse più di ogni ideologia ha fatto danni di cui paghiamo costantemente le conseguenze – la semplificazione è quella cosa per cui ci si definisce di sinistra “perché la destra è quella che odia gli immigrati e i gay”, o ci si definisce di destra “perché la sinistra pensa solo agli immigrati e i gay”.
La prospettiva inquietante del partito unico di centrodestra si muove sui binari di questa (errata) convinzione, ed il colpo di coda di un redivivo Berlusconi rischia di istituzionalizzare il bipolarismo “Fedez-Pio e Amedeo”. Forse, anzi sicuramente, sul piano culturale siamo ormai spacciati e destinati a questa idea ma per rispetto della politica, al di là delle fazioni, eviterei di ufficializzarla con una manovra del genere. Lascio ai miei coetanei dall’altra parte della barricata il compito di rimproverare la loro area d’appartenenza, del resto sono loro i diretti interessati da quel punto di vista, pensiamo un attimo a noi e all’area culturale che dovrebbe rappresentarci.
Il partito che su carta raccoglie l’eredità post-missina ha da tempo superato le percentuali di Alleanza Nazionale e secondo alcuni sondaggi ha addirittura conquistato il primo posto nelle intenzioni di voto degli italiani, un dato questo che ha seminato il panico nei commentatori dell’altro fronte che paventano già il ritorno dell’orbace e dei manganelli – è divertente la reazione del centrosinistra, ma si sa che se Atene piange Sparta non ride.
La Destra poteva approfittare dell’involgarimento del dibattito per darsi un obiettivo concreto, una nuova “missione” per usare termini altisonanti: indirizzare la propria azione sulla policy, spostare il discorso sul piano delle politiche in contrapposizione alla smania del parlare del nulla che caratterizza il presente. L’avversario pone come tema centrale se è misogino dire ministro invece di ministra? Noi parliamo di riforme costituzionali, politica interna ed esteri. La Destra poteva sferzare questa deriva evitando di cadere nel tranello dei temi “etici” (parola messa tra un milione di virgolette) e sarebbe stata la prima a giovarne, non ammorbidendosi per piacere agli altri ma dando un indirizzo di cui avrebbero potuto beneficiare tutti.
Non è andata così, arrivati al fondo abbiamo preferito scavare invece che risalire ed ecco che finiamo per diventare la parodia degli avversari e di noi stessi. La nostra area si presenta al pubblico esattamente come lo stereotipo che ci hanno cucito addosso, sbandierando infografiche con Elisabetta Canalis e Massimo Boldi perché “loro sono l’élite noi siamo il popolo”, bella roba il popolo. Il recente articolo dell’Huffington post sulle dichiarazioni di Giorgia Meloni sull’obbligo vaccinale non mi sorprende affatto, la Destra ha scelto la strada del “se loro dicono x noi diciamo y” perché si sa che non c’è niente di meglio del contrastare la parte avversa fornendogli assist a mani basse.
Accettiamo allora lo scontro culturale, inevitabile sotto certi aspetti, e invece di parlare di politica passiamo al discorso intellettuale: ciò che distingue la Destra dalla Sinistra è l’assenza di ortodossia veteromarxista, di Destra possono essere Evola e Montanelli, De Benoist e Reagan – un punto di forza, quello dell’eterogeneità, che mi permette ancora oggi di definirmi parte di questa idea politica e che offre continui spunti nell’ottica di un laboratorio di pensiero. Detto questo, una Destra che si appresta a diventare maggioritaria nel Paese come vuole contrastare la tanto vituperata “egemonia culturale della Sinistra”?
Semplice, con i personaggi de La Zanzara. Perché rispolverare Gianna Preda o recuperare personalità come Flavia Perina, quando possiamo avere dalla nostra una schiera di “liberi pensatori” (il fatto che non si definiscano di Destra sarebbe anche rincuorante se non li fomentassimo) con il busto del Duce sulla scrivania e nel cassetto la tessera dell’UDEUR o del PSDI? Abbiamo reso bandiere i soggetti che quarant’anni fa Marco Tarchi prendeva in giro sulla Voce della fogna, ma a che serve citare Tarchi e Buttafuoco quando abbiamo personaggi la cui principale argomentazione è il “qualcuno pensi ai bambini” della signora Lovejoy.
Questi avanzi da avanspettacolo rimproverano a chi li contrasta di essere dei “radical chic”, un termine coniato dallo scrittore Tom Wolfe che sino a poco fa utilizzavo anche io ma che oggi si unisce ai vari “professoroni”, “sinistronzi” e “piddioti” dell’acuta e mai volgare nuova intellighenzia che ci rappresenta. È un discorso radical chic? Allora sono un radical chic.
Scrivo queste righe motivato dalla lettura de “Il fascista libertario” di Luciano Lanna (un testo che oggi verrebbe frainteso e cancellato a prescindere solo per la parola iniziale nel titolo) e, pur non credendo nel paradiso perduto, non posso non pensare che prima il nostro immaginario era quello descritto nelle pagine del giornalista di Valmontone, che i nuovi maestri definirebbero senza mezzi termini “zecca”, e confrontarlo con ciò che c’è oggi. La domanda allora è lecita: nella prospettiva di una Destra che diventa maggioritaria, è questo ciò che vogliamo?