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Cosa manca nelle rivendicazioni dei sindaci. Scrive Luisa Ciambella

Di Luisa Ciambella

La figura del “sindaco tuttofare” si sposa con la semplificazione concettuale del legislatore e del cittadino, entrambi desiderosi di stabilire un punto inequivocabile di responsabilità anche a prescindere dalla complessità dell’azione amministrativa. In questo modo è fatale che tutto o quasi tutto si scarichi sulle spalle di chi gode della pienezza dei poteri. L’intervento di Luisa Ciambella (Base riformista)

Per anni i sindaci hanno agitato con successo la bandiera del rinnovamento democratico del Paese. Oggi sono quelli che più direttamente devono fare i conti con la crisi della rappresentanza. Per essi vale la pena parlare, come sostiene Massimo Cacciari, di “viaggio al termine della notte”: un modello di governo, basato sulla personalizzazione del rapporto con gli elettori, ha perso nel tempo il suo fascino. Tant’è che la pubblica opinione non si appassiona al rivendicazionismo parasindacale che pone al centro della discussione la maggiore tutela dei sindaci a riguardo delle troppe responsabilità – amministrative, civili e penali – cui non corrisponde un adeguato trattamento economico.

Non è questa la strada per uscire dalle difficoltà. Verrebbe infatti da chiedersi come mai la giustizia prenda di mira i sindaci con tanta frequenza. Non è colpa dei magistrati se la legislazione statale e regionale sovraccarica i primi cittadini di compiti e funzioni, come se fossero l’alfa e l’omega della pubblica amministrazione locale. A colpo d’occhio si tratta di una distorsione. In effetti, la figura del “sindaco tuttofare” si sposa con la semplificazione concettuale del legislatore e del cittadino, entrambi desiderosi di stabilire un punto inequivocabile di responsabilità anche a prescindere dalla complessità dell’azione amministrativa. In questo modo è fatale che tutto o quasi tutto si scarichi sulle spalle di chi gode della pienezza dei poteri.

Orbene, se la “notte” avvolge la democrazia locale, va da sé che la risposta non sta nel garantire ai Sindaci più protezione giuridica e più copertura economica. Il malessere è più generale. Abbiamo ridotto le assemblee elettive a organi di pura registrazione delle volontà e delle scelte dell’organo monocratico o delle Giunte. Così si mortifica il pluralismo, si disattiva la funzione essenziale delle minoranze, si affievolisce il contributo delle opposizioni. Il Consiglio, tanto nelle grandi città quando nei piccoli centri, opera in regime di frustrazione dei suoi componenti: sembra, per lo più, che facciano numero e non contino. Qual è, allora, l’attrazione che può suscitare il ruolo di consigliere comunale? E cosa significa, di conseguenza, una vita amministrativa locale ridotta a megafono della potestà sindacale, senza più margini di dialettica tra i diversi livelli della rappresentanza popolare?

Se non poniamo mente a questa caduta di tono del mondo delle autonomie locali, laddove si annida appunto una crisi che travalica la stessa protesta dei sindaci, il discorso a tutto campo sul rinnovamento della democrazia perde un tassello importante. E la democrazia vive o ristagna a seconda di ciò che anzitutto nel vissuto comunitario è dato di riscontrare. Nel Comune abbiamo, a volercene ricordare bene, il pilastro del nostro ordinamento istituzionale. Per questo occorre richiamare all’appello i tanti amministratori locali perché siano di nuovo protagonisti di quella “Italia dei Comuni” che nessuna semplificazione può ingabbiare nella logica del potere personalizzato.

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