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Lo smart working e gli smart leaders. Il web talk con Walter Ruffinoni (Ntt Data)

Di Giovanna Dossena

L’appuntamento con il web talk di Task Force Italia ha ospitato giovedì 22 luglio Walter Ruffinoni, amministratore delegato di Ntt Data, Emea e Ntt Data Italia. Tutti i temi principali dell’incontro online raccontati a Formiche.net da Giovanna Dossena, presidente di Avm Gestioni Sgr e professore ordinario di Economia e Gestione delle imprese

Il web talk “Rilanciare il potenziale dell’Italia”, organizzato da Task Force Italia, presieduta da Valerio De Luca, in partnership con Accademia internazionale per lo sviluppo economico e sociale (Aises), Universal Trust e Global investors Alliance, si è focalizzato sull’analisi della recente esperienza di digitalizzazione, nelle sue diverse realizzazioni, dall’integrazione in funzioni, alle gestioni in remoto allo smart working.

Nella sua introduzione condotta, Valerio De Luca, ha sottolineato come la crescente digitalizzazione, sebbene sollecitata da cause di forza maggiore e perciò connotata da uno sviluppo forzato, è tuttavia destinata a modificare per sempre non solo il modo di lavorare, le opportunità di lavoro e la destinazione d’uso dello spazio fisico, ma altresì il concetto di benessere dei dipendenti, le modalità di monitorare la prestazione lavorativa e, con esse, quelle di valorizzarla, di identificare ed attrarre talenti.

Il tema della Transizione Digitale si declina in grande misura su questi temi divenendo asset strategico del Pnrr.

Walter Ruffinoni ha risposto a quattro rilevanti domande e proposto alcune riflessioni critiche discutendo con operatori, esperti e studiosi della materia: Gianmarco Montanari, direttore generale dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Luigi Martino, docente di Ict Policies and Cyber Security all’Università di Firenze e all’Ispi, Giovanna Dossena, presidente di Avm Gestioni Sgr e professore ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Bergamo.

La prima domanda posta ha permesso un confronto su come la pandemia ha accelerato i processi in atto di smartworking/remote working e sull’importanza per le aziende di focalizzarsi anche sul benessere delle persone e quindi la nuova percezione/ attenzione ai dipendenti nel periodo post covid.
“Il covid è stato un grande acceleratore che si è inserito su un mondo che era già in una trasformazione incredibilmente rapida. Con un chiaro passaggio dall’attenzione agli shareholders agli stakeholders. Abbiamo partecipato, nostro malgrado, a quello che è stato il più grande esperimento della storia delle corporations mondiali.”

Recenti studi rilevano una certa polarizzazione di posizioni in riferimento allo smart working, così come a forme più soft di remote working e di lavoro agile:

Da un lato esse possono rivelarsi formidabili strumenti di miglioramento della produttività perché lavorare fuori dal convenzionale ambiente lavorativo permette di organizzare la relazione spazio/tempo nel modo più affine alle proprie esigenze, dall’altro tuttavia sembrerebbe ridurre le possibilità di effettiva cooperazione e le possibilità di reciproco arricchimento che si generano sul posto di lavoro attraverso l’interazione.

La stessa attività di monitoring delle performance realizzate dal dipendente può risultare assai efficace, e, al contempo ingenerare effetti controproducenti se si concentra sulla mera rilevazione della performance assoluta di ogni dipendente, trascurando – anche perché più difficile da rilevare, la sua performance relativa, ad esempio in riferimento alla sua contribuzione alla performance generale dell’impresa. Il grado di coinvolgimento delle risorse umane e la loro percezione dell’impresa come ente di appartenenza sembrano affievolirsi e, al contempo, risultano sempre più rivendicati nuovi diritti, quali quello alla “disconnessione”.

Il lavoro risulta effettivamente “smart” solo se la sua organizzazione è smart, ovvero se risulta in grado di favorire tutti quei fattori che da un lato contribuiscono al benessere del dipendente e, dall’altro, a quello dell’impresa. In tal senso assumono grande rilevanza le possibilità di valorizzare le risorse umane, favorendo la massima espressione delle loro competenze.

Lo smart working genera non trascurabili benefici effetti “collaterali”, da quelli personali relativi al miglior bilanciamento dei tempi tra vita privata e vita lavorativa, a quelli collettivi, relativi al traffico cittadino, all’ambiente, contribuendo alla sostenibilità dell’intero sistema, ma anche effetti collaterali negativi riconducibili alla solitudine ed alla alienazione di persone che” interagiscono senza contatto”.

Tali studi riportano invero gli esiti di un’esperienza ancora breve ed impostata a fronteggiare un’emergenza. Essi, tuttavia, offrono indicazioni in riferimento alle opportunità ed alle possibilità perché tali nuove modalità di lavoro diventino elementi strutturali dell’organizzazione del lavoro nelle imprese.

La seconda domanda ha permesso una riflessione sulla modifica all’approccio “posto fisico in azienda” dei dipendenti nel periodo post pandemia cercando di comprendere quali impatti avrà nel futuro il nuovo modo di lavorare.

“Moltissime aziende hanno capito che va completamente ripensata l’esperienza d’ufficio. Quello a cui abbiamo assistito è la classica diffusione delle preferenze, ognuno è tornato un po’ studente”.

Il modello di smart working post pandemia che sta già emergendo è sempre più ibrido: orientato selettivamente all’assolvimento di determinate funzioni in remoto, ma “impresa centrico” come luogo di riferimento. Nella Pubblica Amministrazione sono state abrogate le soglie minime di lavoro agile, molte imprese del settore privato si sono ormai strutturate per un lavoro che permetta la presenza a rotazione.

Secondo Bcg (si veda il report “Decoding Global Ways of Working“) l’89% dei lavoratori vorrebbe in futuro poter assolvere, almeno occasionalmente, il proprio lavoro in remoto: tale desiderio rifletterebbe in qualche modo un più profondo bisogno di flessibilità e di libertà. Tuttavia, sono ancora una minoranza coloro i quali vorrebbero una conversione completa delle proprie modalità lavorative.

Per tutte quelle prestazioni che devono essere svolti di persona, sarà importante rendere flessibili gli orari ed i turni per ridurre al minimo gli spostamenti e per consentire ai dipendenti un reale supporto alla vita famigliare.

Lo smart working richiede “smart leaders”, capaci di concentrarsi sulla costruzione di una nuova cultura aziendale, che non scada in microgestione, che sia orientata alla valorizzazione dei talenti ed all’obbiettività, capace di generare fiducia e stimolare la correttezza e la coscienza di ruolo.

I talenti sono la vera ricchezza delle imprese. Ed in qualche modo la pandemia ha esasperato la sfida dell’acquisizione di talenti.

La terza domanda verteva proprio sul tema della sfida che le aziende stanno affrontando per trovare “Talenti” e in che modo la pandemia e il post pandemia hanno stressato questa “guerra”.

“C’è senz’altro un problema di competenze: i bambini che fanno oggi le elementari, faranno lavori che oggi non esistono. Si sta creando un effetto distorsivo molto forte e se non riusciamo a dare un ambiente coinvolgente e se non andiamo ad agire sull’engagement delle persone si creerà un effetto di forte “mercenariato” delle figure pregiate che perderemo dal nostro Paese.”

“Sei disposto a trasferirti?” è da sempre la domanda capace di condizionare tutta la carriera. Tuttavia, negli ultimi anni i talenti qualificati (soprattutto nei settori della digitalizzazione), grazie alla crescente digitalizzazione, possono imporre una distanza tra luogo di residenza e di lavoro. :il lavoro sta rincorrendo il talento e non viceversa. La tecnologia ha separato il talento dalla localizzazione e potrebbe avere un effetto significativo anche sui flussi migratori.

In tale ottica si percepisce la formidabile valenza abilitante della digitalizzazione e le sue grandi opportunità ancora inespresse: talent pool e talent shortage saranno rispettivamente le prospettive opposte delle imprese (e delle persone) veloci o lente nella digitalizzazione.

La quarta domanda ha visto come oggetto di discussione gli investimenti dedicati alla “Transizione Digitale”, intesa come asset strategico del PNRR e come grande opportunità per aziende TLC/ICT.
“Gli investimenti sono tanti e sostanziosi: l’infrastruttura digitale abilitante è fondamentale. In questo periodo ci siamo resi conto di quanto una banda ultralarga ormai sia un diritto dei cittadini.”

In modo molto lungimirante la “Transizione Digitale” rappresenta uno degli Asset strategici del PNRR con un’allocazione di risorse di circa il 27% sul totale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza-PNRR presentato dal governo Draghi è articolato in una serie di riforme organizzate a loro volta in 6 “Missioni”. La prima di queste riguarda i temi della “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”.

Va migliorata la connettività, anche tramite un’ampia diffusione di reti di telecomunicazione ad altissima capacità. I costi per gli utenti devono essere sostenibili e la velocità nella rete deve essere aumentata.

Nonostante i recenti miglioramenti, l’Italia è ancora in ritardo in termini di adozione digitale e innovazione tecnologica. L’ultimo aggiornamento dell’indice DESI vede in nostro Paese al 24° posto fra i 27 Stati membri dell’UE. Pertanto, correttamente sono priorità:

Digitalizzare la Pubblica amministrazione con interventi tecnologici ad ampio spettro, come cloud, interoperabilità dati, servizi digitali, cyber-sicurezza, accompagnati da incisive riforme strutturali; abilitare gli interventi di riforma della PA con investimenti in competenze e innovazione, promozione del merito e semplificazione dei procedimenti amministrativi, cioè riduzione di tempi e costi; sostenere gli interventi di riforma della giustizia attraverso investimenti nella digitalizzazione e nella gestione del carico pregresso di cause civili e penali

E ancora, sostenere la transizione digitale, l’innovazione e la competitività del sistema produttivo, con particolare attenzione alle PMI, alle filiere produttive e alle competenze tecnologiche e digitali; dotare tutto il territorio nazionale di connettività ad alte prestazioni; investire in infrastrutture satellitari per il monitoraggio digitale a tutela del territorio e ingenerale nell’economia dello spazio e nelle tecnologie emergenti; rilanciare i settori del turismo e della cultura quali settori strategici per il Paese, con investimenti orientati alla digitalizzazione e alla sostenibilità ambientale.

Ed infine la grande ragione sociale del processo di digitalizzazione: la sua capacità di inclusione e di generare opportunità di lavoro e di partecipazione anche per le persone che trovano i maggiori ostacoli nell’accesso al mondo del lavoro, non ultime le donne. Ragione che potrà essere realizzata solo garantendo la parità di accesso alle infrastrutture, alle apparecchiature ed al possesso di competenze digitali.

Gianmarco Montanari è intervenuto ponendo al dott. Ruffinoni una domanda incentrata su un’analisi comparata delle performance e delle prospettive dei diversi Paesi nella competizione ed illustrando come progressivamente l’integrazione diventi una variabile rilevante, attività alla quale un centro di ricerca come l’Istituto di Tecnologia è abituato. Infatti, si lavora in modo fisiologico con centri di ricerca in tutto il mondo ma nei sistemi-Paese ciò diventa più complesso.

Walter Ruffinoni ha sottolineato la grande rilevanza delle posizioni relative in Europa. Infatti, dopo aver subito forse un colpo più duro nella prima parte del lockdown, Inghilterra e Germania stanno conoscendo in questo momento una fase di rimbalzo molto più importante di quanto non stia facendo l’Italia che pur in termini di digitalizzazione sta muovendosi in modo accelerato rispetto al passato.

L’esperienza dei Paesi che si stanno muovendo più in fretta è accomunata da un grande ruolo proattivo della Pubblica Amministrazione che ha adottato non solo provvedimento di sostegno diretto ma altresì elementi per introdurre flessibilità nei processi decisionali e negli strumenti allocativi, cosa che l’Italia non sta ancora realizzando a pieno. Infine, il fattore che accomuna tutti i Paesi è la ricerca di talenti e l’esigenza di accaparrare persone e competenze in vista di disporre di uno strumento grandemente propulsivo del sistema economico.

Giovanna Dossena ha rappresentato come nella sua esperienza di gestore di fondi di investimento e di attività accademica vede progressivamente convergere posizioni e competenze diverse e come questa nuova complementarità diventi la chiave per leggere efficacemente le architetture sempre più complesse che l’interazione economica e l’interazione competitiva va formando. In modo particolare ha sottolineato come i processi di digitalizzazione e le esigenze di impact finance mostrano una convergenza esplicita: non solo per i problemi di interazione che la digitalizzazione può determinare ma altresì come fattori reciprocamente abilitanti e self- enforcing e perciò capaci di accelerarsi a vicenda.

Inoltre, ha espresso come sia necessario favorire in questo momento favoriti tutti i fattori capaci di generare un ruolo propulsivo nel sistema economico – ad esempio la propensione imprenditoriale dei giovani che sempre di più, come dimostrano molteplici studi, si forma in un momento dell’età estremamente precoce. Il mondo femminile trae grande vantaggio dalla digitalizzazione perché risolve problemi di tempo e di luogo che le donne spesso a causa delle loro attività in famiglia devono riuscire a risolvere. Tuttavia, se la digitalizzazione favorisce una presenza essa va accompagnata da una formazione specifica che permetta loro di esprimere una propensione imprenditoriale che ancora le vede nel loro genere meno protagoniste di quanto non si rappresenti rispetto alla popolazione maschile e rispetto ad altri Paesi, anche in Europa.

Il dott. Ruffinoni ha condiviso l’importanza di fare della tecnologia uno strumento di inclusione e di sostegno della propensione imprenditoriale, rappresentando peraltro l’impegno della sua società in una formazione soprattutto rivolta al mondo femminile perché questo possa avvenire nel continuo e fisiologicamente. Inoltre, l’utilizzo di role-model e il favorire il networking al femminile sono sicuramente due attività che possono aiutare le donne ad avvicinarsi alla tecnologia e al mondo del lavoro collegato alla tecnologia.

Luigi Martino ha sottolineato come lo skill-shortage sia in una certa misura anche da ricondurre alla ridotta velocità con la quale si rinnovano corsi di laurea e programmi di formazione a tutti i livelli. Essi dovrebbero invece riuscire a proporsi quasi in tempo reale rispetto all’evoluzione dei fenomeni in atto nei sistemi sociali ed economici. Maggiori corsi di cybersecurity, maggiori corsi collegati all’utilizzo e alla natura delle nuove tecnologie sicuramente favorirebbero le possibilità di accesso degli studenti alle materie STEM nel loro complesso e alla distribuzione degli studenti stessi ad una facoltà con un imprinting di natura tecnologica.

Valerio De Luca ha infine chiuso i lavori con un’osservazione sulla grande accelerazione degli eventi nel tempo e pertanto sulla necessità che ogni iniziativa sia ex-ante proiettata al futuro con l’obiettivo di plasmarlo e di permettere che possa rappresentarsi nei modi più favorevoli. Al tal fine è stato annunciato che gli stessi lavori di Task Force Italia saranno orientati a favorire, attraverso nuovi corsi e nuove modalità di interazione tra personalità, quella tempestività e capacità di incidere sugli eventi che sono fattori determinanti delle possibilità di crescita comune.

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