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Sugar tax ai raggi X. Inefficace per la salute, dannosa per le imprese

Di Giangiacomo Pierini

Le esperienze di Messico e Regno Unito, per citare i casi più rilevanti, dimostrano che dove la tassa è stata introdotta non si sono registrate riduzioni dei livelli di sovrappeso e obesità nella popolazione. Per questo alcuni Paesi come Danimarca, Norvegia e Islanda hanno deciso di cancellare questa forma di tassazione: inutile ai fini salutistici, ma con un impatto devastante sulle imprese e sull’intera filiera e inevitabili conseguenze sull’occupazione. L’intervento di Giangiacomo Pierini, presidente di Assobibe

Si scrive Sugar tax, ma si legge tassa sulla dolcezza. La nuova imposta di 10 euro per ettolitro prodotto, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2022, si applicherà a tutte le bevande analcoliche dal gusto dolce, con o senza zucchero. Introdotta dalla legge di bilancio 2020, e già rinviata una volta (sarebbe dovuta entrare in vigore il 1° gennaio 2021), nelle intenzioni del legislatore la tassa nasce per contrastare l’eccessivo consumo di zuccheri e il fenomeno dell’obesità, ma nella sua formulazione interessa le sole bevande analcoliche, responsabili di meno dell’1% delle calorie presenti nella dieta dei connazionali, comprese quelle che non utilizzano zucchero nella loro ricetta.

L’illogicità del balzello diventa ancora più evidente se si considera che il nostro è il Paese europeo con il più basso consumo di soft drink: 50 litri pro capite annui contro i 94,7 bevuti mediamente da un cittadino dell’Unione. Nell’ultimo decennio, il mercato ha segnato una contrazione dei consumi di circa il 25%, con i cali maggiori registrati nelle fasce più giovani della popolazione, che sono poi quelle nelle quali il tasso di obesità è in crescita. Questo prova che il sovrappeso non dipende in Italia dal consumo di bevande analcoliche.

Ma è proprio il concetto di tassare un alimento che si è rivelato inefficace: le esperienze di Messico e Regno Unito, per citare i casi più rilevanti, dimostrano che dove la tassa è stata introdotta non si sono registrate riduzioni dei livelli di sovrappeso e obesità nella popolazione. Per questo, alcuni Paesi come Danimarca, Norvegia e Islanda hanno deciso di cancellare questa forma di tassazione: inutile ai fini salutistici, ma con un impatto devastante sulle imprese e sull’intera filiera a monte e a valle di questa, e inevitabili conseguenze sull’occupazione. Secondo le stime del ministero dell’Economia, la Sugar tax costerà alle imprese italiane 320 milioni all’anno, rallentando ulteriormente la ripresa di un settore che nel 2020 ha perso il 10% del fatturato, e provocando un’ulteriore riduzione del 16% dei consumi nel biennio 2022-2023. Tutto ciò determinerà un impatto negativo sulla Filiera, con 5.050 posti di lavoro a rischio e 250 mil di euro di minori forniture acquistate.

Inoltre, la Sugar tax si paga al momento della cessione del prodotto, ma i clienti della grande distribuzione e dell’Horeca possono pagare a 30, 60 giorni: questo significa che le imprese saranno costrette ad anticiparne il pagamento, sottraendo fondi alla ripresa e agli investimenti. Gli effetti più negativi si ripercuoteranno sulle realtà industriali più piccole e su quelle rese più fragili dai cali di fatturato conseguenti alla pandemia. Un ulteriore colpo a quelle piccole e medie imprese che rappresentano il 64% delle aziende del settore (dato indagine Nomisma per Assobibe).

Ma l’effetto forse più dirompente di questa tassa è quello di introdurre nel nostro ordinamento il principio secondo il quale tutto ciò che è dolce è dannoso: adesso sono le bevande ad essere tassate, ma il dolce (e in alcuni casi lo zucchero) è caratteristica di molti prodotti della nostra tradizione alimentare, non solo delle aranciate o dei chinotti, e con il tempo la tassazione si estenderà ad altre produzioni tipiche di quel made in Italy tanto apprezzato all’estero.

Negli ultimi cinque anni, e sotto l’egida del ministero della Salute, le imprese che Assobibe rappresenta hanno lavorato per ridurre lo zucchero (-27% nel 2020) e le calorie (-22,5%) immessi sul mercato e incentivare – anche attraverso l’introduzione di formati più piccoli, di un’etichettatura trasparente e di un’autoregolamentazione severa in fatto di marketing verso i minori di 12 anni – un consumo responsabile. L’introduzione di una manovra che aumenta del 28% la pressione fiscale, in un momento caratterizzato ancora da grande incertezza per il futuro, spezza le gambe a un settore che vuole lavorare per ripartire.

Il Governo, giustamente, parla tanto di aiuti alle imprese, alle famiglie, di sostenibilità, di riduzione della pressione fiscale e di stimolo alla crescita, per questo deve eliminare questa “tassa sulla dolcezza”, inutile per la salute e dannosa per l’economia. Una misura che per il comparto si traduce in pesanti contrazioni di vendita che impedirebbero di agganciare quel minimo di ripresa prevista. Nello scenario economico attuale non servono nuove tasse, ma stimoli per facilitare la domanda interna e gli investimenti in innovazione: le imprese e gli imprenditori chiedono solo di poter lavorare confrontandosi liberamente sul mercato.

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