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Tutti i “trucchi tecnologici” per raggiungere l’obiettivo zero emissioni

La strada per la neutralità carbonica è lastricata di soluzioni alternative al mero taglio delle emissioni. Alcune promettenti, altre improbabili, altre già una rivoluzione. Dai sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio alla carne coltivata in laboratorio

Gran parte dei Paesi occidentali si sono impegnati a raggiungere la neutralità carbonica (ossia zero emissioni nette) entro il 2050 con lo scopo di limitare il riscaldamento globale a 1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Un obiettivo talmente ambizioso da gettare anche il più ottimista tra i climatologi nello sconforto. Tra i passi da compiere secondo l’International Energy Agency: smettere di vendere automobili a motore termico entro il 2035, passare completamente alla produzione di energia pulita entro il 2040, usare pompe di calore per almeno metà del fabbisogno globale entro il 2045. Non sorprende che diversi Paesi credano che questo percorso a tappe forzate sia “fuori dal mondo”.

Per fare fronte alle inevitabili inadempienze del futuro, c’è chi sta valutando metodi alternativi e complementari. I sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio sono generalmente malvisti dagli ambientalisti perché non vanno al cuore del problema climatico e sono basati su tecnologia ancora troppo primitiva per poterli considerare un percorso viabile. Questo non ha impedito a compagnie come la canadese Carbon Engineering e la britannnica Storegga Geotechnologie di iniziare a progettare quella che diventerà la più grande struttura di carbon capture d’Europa.

L’idea, sovvenzionata dal governo del Regno Unito con £250.000, è creare un nuovo stabilimento in Scozia, sul Mare del Nord, dedito a risucchiare l’anidride carbonica dall’aria (direct-air capture) e stoccarla nel sottosuolo marino, riadattando alcune infrastrutture di estrazione del petrolio per lo scopo. La costruzione dovrebbe iniziare a inizio 2022 e finire nel 2024, quando lo stabilimento potrà catturare circa mezzo milione di tonnellate di CO2 all’anno. Ad oggi si prevede che la struttura in progettazione più avanzata d’Europa, della svedese Climeworks, ne possa catturare appena 4.000 all’anno.

A regime, l’operazione potrà vendere dei “crediti” alle aziende desiderose di compensare le proprie emissioni. Una buona soluzione per quei settori, come aviazione, agricoltura e metallurgia, in cui la decarbonizzazione è più ostica che altrove. Se non fosse che secondo gli esperti andrebbero rimossi miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera entro il 2050. Per di più, l’industria di cattura e stoccaggio del carbonio non è sufficientemente evoluta per permettere al prezzo di una tonnellata di CO2 stoccata di attestarsi attorno ai $100, cifra che rappresenta la fattibilità economica secondo Habib Azarabadi e Klaus Lackner dell’Arizona State University. Nel 2019 Climeworks vendeva una tonnellata di CO2 per $500-600.

Strada perniciosa, insomma; convogliare i fondi in operazioni di stoccaggio e cattura del carbonio sembra essere una scommessa troppo rischiosa, almeno per ora. C’è di buono che le vie della ricerca tecnologica sono infinite. Dall’adozione di un misto di soluzioni ibride al ripensamento strategico e radicale di intere filiere. Una storia promettente la sta scrivendo la startup israeliana Future Meat, che ha appena aperto il primo stabilimento industriale di coltivazione della carne, ossia una delle industrie col fabbisogno di risorse più alto al mondo.

L’azienda sostiene di poter crescere (coltivare?) carne di pollo, maiale e agnello a partire dalle singole cellule; il manzo arriverà, promettono. Il processo è circa venti volte più rapido del consueto ciclo di crescita e macellazione degli animali (con risvolti etici interessanti), taglia le emissioni dell’80% e utilizza l’1% del terreno rispetto agli standard industriali. Anche i costi sono promettenti: a febbraio Future Meat ha annunciato di aver abbassato il costo di produzione di un petto di pollo sotto i dieci dollari. Parte del merito va anche all’ecosistema industriale e sociale, che già recepiscono bene i sostituti a base vegetale. Dal 2022, anno in cui questi prodotti arriveranno sugli scaffali, potremo anche giudicarne la qualità.

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