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Tra l’audire e il fare c’è di mezzo il Parlamento. Le proposte di The Good Lobby

Durante le audizioni sul Pnrr le commissioni Agricoltura e Trasporti non hanno convocato le associazioni di consumatori, né degli utenti né le associazioni ambientaliste. Le audizioni si potrebbero rendere uno strumento bottom up, in cui i soggetti dal basso siano liberi di offrire il loro contributo. Gli spunti di Federico Anghelé, direttore The Good Lobby

 

4593 è un numero che non lascia indifferenti. E’ quello delle audizioni “informali” convocate alla Camera dall’inizio della XVIII legislatura al 31 dicembre 2020, data presa in considerazione fino ad ora dal report appena pubblicato dalla Legal Clinic dell’Università di Salerno con The Good Lobby. Considerando 33 mesi di attività parlamentare (ferie incluse) si raggiungono le 140 audizioni al mese che suddivise per le 14 Commissioni permanenti della Camera danno una media di 10 incontri mensili per ciascuna.

A scanso di equivoci, diciamo subito che consideriamo le audizioni informali uno straordinario requisito democratico: aiutano i parlamentari nel loro lavoro di commissione ad avvalersi di dati, informazioni e punti di vista da parte di portatori di interessi ed esperti utili potenzialmente a migliorare la qualità delle decisioni (e delle proposte di legge). E, viceversa, la società civile, grazie alle audizioni, ha la possibilità di esprimersi portando contributi che illustrino l’impatto che le politiche pubbliche potrebbero avere su interessi particolari, generali, su comunità locali, su specifici segmenti della popolazione e dell’economia.

E’ proprio perché le audizioni sono un presidio di partecipazione e democrazia che occorrerebbe potenziarle a cominciare dalla loro formalizzazione: sebbene infatti le audizioni esistano ormai da decenni, non sono mai state “codificate” nei regolamenti e ciascuna Commissione ha regole proprie. Ciò porta alla estrema discrezionalità del Presidente della Commissione nella scelta dei soggetti da audire, che non sempre vengono convocati sulla base delle loro competenze specifiche rispetto al tema in discussione né della loro rappresentatività. Il rischio è che invece di essere una fotografia della realtà che tenga conto dei competitor in campo e delle loro diverse aspettative (ad esempio un’associazione ambientalista e i rappresentanti del settore petrolifero) che potrebbero in egual modo aiutare i parlamentari a compiere scelte più bilanciate e informate, l’audizione si traduca in uno strumento a disposizione della maggioranza per rafforzare il proprio punto di vista.

Non meno problematica è la limitata trasparenza su questo processo istituzionale: nonostante l’attività di audizione sia una parte preminente del lavoro di Commissione, l’assenza di resoconti dettagliati sugli incontri tenutisi con i portatori di interessi e gli esperti disponibili online rende tutt’altro che facile valutare l’impatto reale dei punti di vista degli auditi.

Sul podio dei più auditi salgono i sindacati (la Cisl è stata ascoltata ben 95 volte) seguiti da Confindustria (57 volte) e dall’Anci (48 audizioni). Da una parte, è comprensibile che i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro godano di così grande ascolto; dall’altra, sarebbe utile ai fini della qualità delle scelte assunte dal Parlamento che ci fosse una maggior apertura verso soggetti altrettanto rilevanti e rappresentativi. Emblematico il caso delle audizioni sul Pnrr in cui commissioni come quelle Agricoltura e Trasporti non hanno convocato né le associazioni di consumatori, né quelle degli utenti né le associazioni ambientaliste. A dimostrazione del sostanziale “esautoramento” del Parlamento dalle scelte cruciali sul Recovery Plan, il fatto che le audizioni si siano concentrate in una manciata di settimane durante le quali è stato impossibile dare spazio a tutte le voci necessarie.

L’indagine andrebbe ovviamente estesa anche al Senato, oggetto di future ricerche. Tuttavia, a partire dai primi dati disponibili, si possono già formulare alcune proposto che vadano nella direzione di un rafforzamento delle audizioni. Nell’ottica di estendere e facilitare la partecipazione, mettendo i portatori di interessi sullo stesso piano, si potrebbero rendere le audizioni uno strumento bottom up, in cui i soggetti dal basso siano liberi di offrire il loro contributo. L’idea è che qualunque soggetto possa chiedere di essere audito.

O che comunque possa dare un proprio contributo su una proposta di legge in discussione. Ma, soprattutto, le audizioni “informali” andrebbero finalmente formalizzate con l’adozione di parametri oggettivi nei casi in cui sia la Commissione permanente a richiedere l’audizione di un soggetto: la scelta degli auditi dovrebbe ricadere su chi ha competenze specifiche rispetto al tema in discussione e sulla sua rappresentatività rispetto ad esso. Ma soprattutto dovrebbe essere garantito un confronto “ad armi pari” tra soggetti impegnati a influenzare l’iter legis.


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