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Basta polemiche sterili sulle missioni militari. Parla Tripodi (FI)

La delibera missioni per gli impegni militari dell’Italia nell’anno in corso è approdata oggi in aula alla Camera. Il dibattito si concentra sul supporto alla Guardia costiera libica, ma la maggioranza “voterà compatta”, spiega a Formiche.net Maria Tripodi, capogruppo FI in Commissione Difesa alla Camera. Lo sfratto dalla base di Al Minhad? “È evidente che vada ricostruito il rapporto con gli Emirati Arabi””

“Il nostro Paese deve proiettarsi con sempre maggior protagonismo nell’ampia area del Mediterraneo allargato, caratterizzata da profonde tensioni e dall’attivismo di partner che vogliono esercitare la propria influenza”. È così che Maria Tripodi, capogruppo di Forza Italia presso la Commissione Difesa della Camera, sintetizza a Formiche.net la delibera relativa alle missioni militari per l’anno in corso, attualmente in fase di discussione in Parlamento. In tutto si tratta di 40 impegni all’estero, due in più rispetto al 2020, per una forza complessiva che potrà raggiungere al massimo le 9.449 unità (oltre 800 in più rispetto allo scorso anno), con consistenza media prevista di circa 6.500 unità.

Onorevole, la delibera missioni è arrivata al voto in aula. Quale è il suo giudizio sul provvedimento per il 2021?

Un giudizio estremamente positivo, che ricalca quanto già tracciato dalle linee programmatiche del dicastero lo scorso 9 marzo, aderenti alla cornice di sicurezza e difesa nazionale. Si implementa la nostra presenza nei teatri di crisi rafforzando ulteriormente il nostro peso geopolitico con le nuovi missioni: UnSom in Somalia, Emasoh nello stretto di Hormuz, Emergenza Cedri in Libano e le tre relative alla partecipazione di personale civile delle Forze di Polizia. Una linea chiara, di ampio respiro che tutela i nostri vitali interessi nazionali.

La Difesa ha confermato il focus su “Mediterraneo allargato”. Condivide tale postura?

Assolutamente sì. Il nostro Paese deve proiettarsi con sempre maggior protagonismo in questa ampia area, caratterizzata da profonde tensioni e dall’attivismo di partner che vogliono esercitare la propria influenza. L’Italia ha tutte le qualità e le potenzialità per esercitare il ruolo che le compete: è punto di riferimento nella guida di importanti missioni, è Paese fondatore dell’Unione europea, ha una salda e tradizionale collocazione euroatlantica.

Il dibattito parlamentare (e non solo) si è intrecciato con quello relativo allo sfratto dalla base di Al Minhad. Lei come legge l’accaduto? E ora che fare?

Ora occorre guardare al futuro, e aggiungo che ho trovato fuori luogo tirare per la giacchetta il presidente del Consiglio Draghi, su tale questione. È evidente che vada ricostruito il rapporto con gli Emirati Arabi, come è altrettanto evidente che a farlo non sono strumentali polemiche. La nostra tradizione diplomatica indica una strategia ben precisa e di lungo periodo per accrescere la credibilità del Paese. Affiancata da un lavoro certosino a ogni livello, essenziale per ricucire danni economici e d’immagine senza precedenti, causati dalla miopia di errate scelte politiche.

Quale è il suo giudizio sull’approccio del governo Draghi agli impegni militari all’estero?

Il governo Draghi ha impresso una svolta significativa in politica estera e di difesa perfettamente aderente alle scelte fatte dai governi Berlusconi e questo non può che lasciarci molto soddisfatti. Un sano pragmatismo che mette al centro la postura internazionale dell’Italia, facendo delle missioni all’estero il primo pilastro di una nuova modalità di sistema-Paese.

Qualche frizione politica si è registrata anche all’interno della maggioranza sul sostegno alla Guardia costiera libica. Quale è la posizione di Forza Italia?

Direi all’interno del Pd, e parlare di frizione è un eufemismo. Purtroppo le divisioni interne su tale questione si ripropongono ogni anno, e affondano le radici in una visione evidentemente ideologizzata. Forza Italia ha votato la riformulazione proposta dal governo, un giusto punto di equilibrio, con l’accordo su una modifica all’emendamento originario a firma del collega Borghi. Hanno prevalso buon senso e la capacità di mediazione del nostro sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè. Un ottimo risultato, considerando il provvedimento verrà votato dalla maggioranza in modo compatto.

Intanto l’Italia ha concluso il ritiro dall’Afghanistan. Considerando le notizie che giungono dal Paese, è stata una mossa giusta?

Mi permetta intanto di fare un ringraziamento al Comando operativo di vertice interforze (il Coi) e al suo comandante, il generale Portolano, che con la consueta professionalità hanno completato in anticipo le operazioni per il rientro del nostro contingente rispetto al timeline originario, nonostante le complicazioni legati ai fatti di Al Minhad. L’Italia, con le migliaia di uomini che si sono avvicendati in 20 anni in quel Paese, ha contribuito a far conoscere al popolo afghano l’inizio di un progresso sociale e diritti fondamentali fino ad allora ignorati. Lo ricordo per amor di verità anche in memoria dei nostri 53 caduti e di quei 753 feriti che quella missione ha comportato per il Paese.

Ieri Draghi ha avuto un colloquio telefonico col presidente afghano Mohammad Ashraf Ghani, ribadendo che il sostegno al Paese continua…

Certo. Il nostro impegno in Afghanistan così come ribadito dal governo continua, ma con altre modalità rispetto all’impegno militare perché l’Italia è proiettata a portare avanti una cooperazione e dei programmi volti a cementare il legame in essere tra i due Paesi.

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