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Migranti dall’Afghanistan. L’Ue non può farsi trovare impreparata

Di Alberto Tagliapietra

Gli sviluppi in Afghanistan aumenteranno il numero di arrivi nell’Unione europea, con tutte le conseguenze che questo implicherà. Basti pensare alle tensioni tra Grecia e Turchia. Nel giorno del Consiglio Affari esteri Ue straordinario, pubblichiamo un’analisi di Alberto Tagliapietra, program assistant presso il Mediterranean Policy Program del German Marshall Fund di Bruxelles

Nel mese di aprile il presidente Joe Biden ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan entro la fine di settembre 2021, una decisione che pone fine a un intervento durato vent’anni.

Il ritiro americano dal Paese ha avuto inizio l’anno scorso, quando l’allora presidente Donald Trump raggiunse un accordo con i Talebani. Da quel momento, questi hanno riconquistato larghe parti del territorio afgano, spingendosi proprio in questi giorni, fino alla capitale Kabul. Questi sviluppi avranno conseguenze molto importanti per gli afgani che, per via della crescente spirale di violenza che contrassegnerà l’ascesa dei Talebani, cercheranno di trovare rifugio al di fuori del loro Paese.

Questo aspetto sarà importante anche per l’Unione europea, dato che nel 2020 gli afgani hanno costituito il secondo gruppo per numero di richieste d’asilo in Europa, numero che con gli accadimenti recenti sarà destinato a crescere. Questa situazione ancora una volta ci ricorda l’importanza per l’Unione europea di accelerare sulle necessarie riforme della politica migratoria europea per evitare gli errori commessi in passato ed evitare nuove crisi.

Da quanto riporta l’Internal Displacement Monitoring Center, ci sono attualmente 2,9 milioni di sfollati interni in Afghanistan e oltre 2.7 milioni di afgani che hanno cercato rifugio al di fuori del proprio Paese: è la seconda nazionalità per numero di richieste d’asilo al mondo. La maggior parte di queste persone sono ospitate in Paesi limitrofi come Pakistan, Iran e Turchia, ma il numero di afgani che richiedono asilo in Europa è andato crescendo negli ultimi anni.

Prendendo in considerazione le richieste di asilo ricevute in Europa nel corso dell’anno scorso, gli afgani sono il gruppo maggiore in Austria (21,3% di tutte le richieste), Belgio (17,9%), Francia (13%), Germania (10%) e Grecia (30%). Inoltre, costituiscono il 50% della popolazione nei campi profughi sulle isole dell’Egeo in Grecia e, per tre anni di fila, l’Afghanistan è stato il secondo Paese per richieste di asilo a livello europeo, dopo la Siria.

Prevedendo il crescente numero di richieste d’asilo provenienti dall’Afghanistan, nel 2016 l’Unione europea ha siglato un accordo informale con il governo afgano per collaborare nella gestione dei flussi, il Joint Way on Migration Issues.

Lo scopo dell’accordo è quello di prevenire l’immigrazione irregolare e di incrementare i rimpatri, su base sia volontaria sia involontaria. Nel corso del 2020 l’accordo è stato rinnovato, suscitando le proteste di molti osservatori internazionali, i quali sottolineavano come l’Afghanistan, un Paese segnato dalla violenza e dall’instabilità, non potesse essere considerato come un luogo sicuro dove rimpatriare i migranti. A oggi, con gli sviluppi avvenuti in queste ultime settimane, questa critica ha acquisto ulteriore rilevanza. Il ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan ha infatti contribuito a motivare i Talebani a continuare la loro guerra, spingendoli ad arrivare fino a Kabul e a dichiarare la loro volontà di istituire l’Emirato islamico dell’Afghanistan.

Questo processo incrementerà l’instabilità del Paese, spingendo un numero maggiore di persone a scappare nei Paesi vicini, e in Europa. Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha espresso preoccupazione per il peggioramento della situazione nel Paese, che “avrà un effetto anche sull’Europa”, ha spiegato.

Questi sviluppi aumenteranno il numero di arrivi nell’Unione europea, con tutte le conseguenze che questo implicherà. Molti afgani che decideranno di spostarsi verso l’Europa lo faranno infatti tramite la Turchia, una zona di transito di importanza storica per gli afgani diretti in Europa. Questo tuttavia andrà a complicare ulteriormente la già difficile situazione al confine tra Turchia e Grecia, sviluppatasi nel corso degli ultimi anni proprio per la gestione dei flussi migratori. Un incremento della pressione al confine non farà che aumentare ulteriormente la tensione tra l’Unione europea e la Turchia.

Tuttavia, l’Unione europea è più di un semplice osservatore in questi sviluppi. Essi sono infatti una diretta conseguenza della decisone dell’Unione europea di esternalizzare la gestione dei flussi migratori ai Paesi terzi (come la Turchia), consegnandoli di fatto il potere di ricattare l’Unione e mettere in pericolo la stabilità europea. Inoltre, raggiungere accordi come quello del 2016 con l’Afghanistan, evidenzia la miopia dell’Unione europea, focalizzata sul ridurre i flussi migratori e aumentare i rimpatri senza considerare che questi accordi possono molto facilmente portare a un’impasse, soprattutto in contesti segnati da forte instabilità.

Infatti, se è vero che offrono un modo semplice di affrontare i flussi migratori, falliscono nel considerare l’instabilità che i Paesi di origine e transito affrontano. La cooperazione con Paesi come l’Afghanistan sulla gestione dei flussi migratori non dovrebbe minare l’approccio generale dell’Unione europea verso questi Paesi, che dovrebbe prestare più attenzione alle dinamiche che stanno dietro l’origine dei flussi migratori.

Questa nuova potenziale crisi umanitaria dovrebbe spingere l’Unione europea a procedere con la riforma delle sue politiche migratorie, implementando misure più sostenibili, più attente ai bisogni dei richiedenti asilo e che non vengano cancellate da un giorno all’altro per via di una crescente instabilità.



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