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Lezione afghana per l’Ue. Il soft power non basta

Uno dei principi errori dell’Europa negli ultimi anni è stato quello di pensare che fosse sufficiente il proprio soft power per esercitare influenza. Ma non è così…

La crisi afghana ha sancito in tutto il suo dramma la difficoltà dell’Unione europea di definire una propria politica estera e di mantenere una posizione autonoma portando avanti gli interessi europei anche in aree strategiche come il Medio Oriente. Partendo dal presupposto di una necessaria collocazione atlantica dell’Unione europea, le modalità con cui è stato gestito il ritiro dall’Afghanistan, oltre alla perdita di credibilità internazionale per l’Occidente, avranno conseguenze soprattutto per l’Europa a partire dall’emergenza migratoria che si verrà determinando nei prossimi mesi. Constatata l’impossibilità di continuare la missione in Afghanistan senza il supporto americano, gli europei hanno accettato il ritiro ma, nonostante la presenza di militari di Paesi comunitari come l’Italia, la decisione è stata accolta più passivamente che con una reale possibilità di influenzare gli eventi successivi.

Le parole del presidente statunitense Joe Biden nel suo primo discorso dopo la conquista di Kabul da parte dei Talebani in cui non ha citato gli alleati europei (compreso il Regno Unito), testimoniano il peso politico non così determinante dell’Europa. Eppure, quanto accaduto in Afghanistan, dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme per un cambio di rotta non più procrastinabile per l’Unione europea in materia di politica estera. A oggi non ha né una forte visione unitaria né, qualora individuasse una strada comune da percorrere, la forza e la capacità di imporla.

Non si tratta soltanto della mancanza di un esercito europeo, quanto dell’assenza di una capacità politica di determinare una strategia imprescindibile in ambito geopolitico. Senza dubbio, in Paesi governati da autocrazie, una visione a medio-lungo termine è più facile da portare avanti rispetto che in una democrazia, se non altro per una maggiore continuità dei leader al potere – ma questo non può essere un alibi.

Il punto è capire qual è oggi l’interesse europeo e se esiste una comune visione tra le nazioni che fanno parte dell’Ue. È fisiologico che in una comunità politica costituita da 27 stati sovrani con una storia, tradizioni e un passato tra loro differente, vi siano delle divergenze ma colpisce come oggi l’Ue non sia in grado di far sentire la propria voce e rappresentare un interlocutore forte nello scacchiere internazionale.

Spesso le posizioni delle principali nazioni europee in politica estera divergono tra loro e questo genera non pochi problemi; prendiamo il rapporto con tre dei maggiori competitor per l’Europa come la Cina, la Turchia e la Russia. Le posizioni di Germania, Francia e Italia sono tra loro diverse e non solo per sfumature, una divergenza latente nell’ordinario ma che diventa evidente in caso di eventi straordinari come la recente guerra in Nagorno Karabakh tra Armenia e Azerbaigian. Inoltre, trovare un punto di caduta con gli interessi nazionali dei paesi dell’Est Europa, diventa ancor più difficile, occorre perciò chiedersi quale possa essere il collante per individuare una politica estera europea che non solo possa parlare con una sola voce ma sia in grado di avere una reale influenza che ad oggi sembra mancare. Il primo passaggio deve essere di carattere politico individuando alcune posizioni e aree di intervento condivise, dal Mediterraneo ai Balcani, dal nord Africa al rapporto con la Cina. In politica estera, soffermarsi sulle analogie tra i paesi europei più che sulle differenze, è un approccio non solo necessario quanto di realpolitik nell’attuale scenario globale.

Il secondo passaggio per l’Ue non può che essere di carattere militare. Uno dei principi errori dell’Europa negli ultimi anni è stato quello di pensare che fosse sufficiente il proprio soft power per esercitare influenza ma è evidente che, con l’affacciarsi di nuove potenze con un approccio più aggressivo, sia necessario esercitare anche un hard power. Ciò non significa per forza intraprendere nuove missioni dall’esito non scontato e controverso, quanto utilizzare le forze armate anche con una funzione deterrente. Incrementare le esercitazioni congiunte degli eserciti europei, aumentare le attività di collaborazione già in atto, intervenire in modo unitario quando necessario, dimostrerebbe che l’Europa è non solo una realtà politica ma anche militare in grado di tutelare i propri interessi ogni qualvolta sono  messi in discussione.

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