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Sciogliere tutti i fasci. La lezione di Fiuggi e il regime che non c’è

Come un fiume carsico, torna l’allarme sulla tenuta democratica del Paese, lanciato in questa occasione di fronte al fatto che Fratelli d’Italia si conferma essere il primo partito nelle intenzioni di voto. Accuse strumentali che però i meloniani potrebbero facilmente schivare, se solo rileggessero il programma della nascita di An. Scrive Antonio Pellegrino, giornalista e giovane elettore di destra

A quanto pare è tornato il fascismo, o perlomeno è questione di poco. Sarà il piattume tipico d’agosto ma questa volta non ce ne siamo proprio accorti. Sta di fatto che lo spettro del regime torna ad aleggiare sul Paese anche quest’anno, per l’ennesima volta. In un dibattito che ogni giorno sprofonda nel ridicolo (e beatamente ci si crogiola) pensavamo di esserci abituati ai già saturi temi che infestano i media, ma nel breve momento di pausa tra un green pass e un DDL Zan ecco che rispunta lei: la F-Word che tutti vorrebbero cancellare e allo stesso tempo non possono fare a meno di pronunciare.

Il fascismo, quel momento drammatico del nostro Novecento, col passare del tempo ha perso la sua carica tragica arrivando ad essere l’intercalare fastidioso che è oggi – solo a dover scrivere “fascismo” l’istinto è quello di portare gli occhi al cielo, a dimostrazione che nonostante tutto sono davvero passati cento anni.

Puntuale come sempre arriva l’allarme sulla tenuta democratica del Paese, lanciato in questa occasione di fronte al fatto compiuto che Fratelli d’Italia si conferma essere il primo partito nelle intenzioni di voto; per correre ai ripari di fronte questo dato scioccante, in molti si sono buttati su analisi sociologiche del fenomeno e, tra lettere aperte e indicazioni di bon ton alla già annunciata premier, c’è chi con una buona dose di coraggio e senza alcuna pretestuosità si fa carico della sopravvivenza della costituzione e grida le cose come stanno: questa è la Destra più estrema della storia repubblicana ed in poco tempo avremmo le camicie nere, se non addirittura le brune, al governo.

Quando si parla del niente è facile attirare le parti in gioco e così, come scontato che fosse, ne nasce una querelle che accende gli animi e porta gli ultras di entrambe le parti a prendersi una pausa dall’ombrellone e dibattere, morbosamente dibattere tra difese, solidarietà e attacchi ad personam. Senza voler cascare nel tranello comunicativo appena citato, possiamo approfittarne per parlare di questo elefante nella stanza che mette a nudo coscienze di Destra e di Sinistra allo stesso modo e, approfittando della generale calma dell’estate, affrontare il tema senza attirare orde partigiane da ambo le parti.

Che la Destra italiana provenga da una tradizione post-fascista è un dato di fatto ignorato forse solo dalle nuove leve di elettori cresciuti tra Tik Tok e asterischi, una condizione complessa per storia e contesto nazionale che ha prodotto nel corso degli anni un processo parallelo a quello che dall’altra parte ha segnato gli eredi del comunismo nostrano, ma ridurre la questione a questa analogia sarebbe scorretto e semplificatore. L’Italia ha subito la dittatura fascista, è ovvio che il rapporto con l’ideologia avversa non assuma la stessa gravità, con buona pace del ragionamento “sono entrambe dittature”.

Un problema del genere non poteva non essere affrontato e dopo decenni di aperture e tentativi da parte del Movimento Sociale, arriva il 1995 in cui il toro viene preso per le corna e, come gli epigoni di Sinistra, la Destra abbandona pubblicamente ogni rimando all’esperienza ideologica d’appartenenza legittimando di fatto la fiamma tricolore. Fiuggi è oggi un ricordo da paragrafo manualistico, così la presenza di quel simbolo è tornato ad essere il pretesto per nuovi attacchi che volutamente ignorano la nostra storia politica. Ai presunti camerati meloniani si può imputare solo una colpa su questo versante: l’aver assunto un atteggiamento ambiguo sulla questione dove i punti erano stati messi precedentemente nero su bianco, a che pro non ci è dato sapere.

Se anche solo dieci anni fa il rapporto con il ventennio sembrava essere definitivamente appurato, ecco che di fronte a qualsiasi rimando sottoposto (strumentalmente) dall’altra parte ci si rapporta in maniera ermetica. Esponenti e leader di partito cercano sinonimi o girano attorno alla domanda categorica, e invece di ribadirne la ridicolaggine rispondono con formule come “noi siamo pienamente democratici…” o “crediamo nella democrazia, nella libertà, il passato per noi…” eccetera, tutto pur di non dire la tremenda F-Word.

In nome di un’incorruttibile purezza ideale si fa il gioco dell’avversario ed allora Il consiglio non richiesto che un semplice elettore di Destra pone ai suoi (purtroppo) rappresentanti è di una banalità disarmante: usate la parola proibita per rispondere a queste accuse, davanti al solito attacco basta dire “siamo antifascisti, ora passiamo a cose serie.” Cosa costa ai fratellini dire chiaramente F-A-S-C-I-S-M-O in una di queste difese? Così facendo non ne servirebbero altre. Scegliere di girare attorno alla questione ha avuto effetti facilmente prevedibili creando un problema che prima d’allora non aveva più senso di esistere, alimentando inevitabili rigurgiti nella base militante passivamente accettati dalle alte sfere di partito e legittimando involontariamente le critiche dei detrattori.

Chi scrive ha dimostrato, proprio su queste colonne, di non nutrire certo un grande amore per FDI ma allo stesso tempo ha da molto superato il limite di sopportazione di fronte alla retorica avversa del pericolo fascista che proprio come l’ambiguità lessicale degli esponenti di Destra, alimenta e sprona questi comportamenti di cui non beneficia nessuno. Tra le tante critiche che si possono fare al partito (ambiguità sul tema vaccinale o l’assenza di una classe politica sul territorio per offrire degli spunti), ripescare l’accusa di fascismo è quanto di più gratuito e banale si possa fare.

Affermare pubblicamente che il venti e passa percento dell’elettorato italiano sostiene il ritorno del regime è una tecnica scorretta, sintomo di una voluta semplificazione che tende a distinguere il mondo in buoni e cattivi, un’arma retorica cara a Sinistra che nel corso degli anni ha involgarito il dibattito allo stesso modo dei proclami anti-casta e degli slogan sovranisti – ricordiamo che però è populismo solo quando si tratta dell’altra parte.

Di fronte a tutto questo ripensiamo con una certa amarezza a quel punto, non abbastanza studiato, delle tesi di Fiuggi: “sciogliere tutti i fasci”, in cui assieme ad una chiara presa di posizione sul passato fascista ci si auspicava anche la fine dell’antifascismo strumentale a trazione unica, consegnando Liberazione e Resistenza ad un’unica storia. Fare questo salto di qualità porterebbe solo benefici, ma verrebbe meno la dicotomia bene/male di cui abbiamo estremo bisogno. Del resto l’Italia è una repubblica democratica fondata su retorica e polarizzazione, aspettiamo quindi ferragosto per la prossima polemica.



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