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Transizione energetica vuol dire bollette più alte. E la Spagna già si ribella a Bruxelles

Si torna sempre lì: l’abbandono forzato dei combustibili fossili rischia di gravare sul portafoglio dell’utente finale, anche per i servizi essenziali. E la Spagna deve pure combattere con “l’isolamento energetico”. Intanto Bruxelles…

Bello il verde, ma occhio a non farcelo odiare. Così si può riassumere (brutalmente) il monito lanciato dalla spagnola Teresa Ribera, vicepremier e ministro per la transizione ecologica, in direzione di Bruxelles. Questo avvertimento, che in Italia è stato declinato in vista dell’impatto sulle industrie più esposte, per Ribera va applicato al pubblico ben più vasto di tutti coloro che pagano (e pagheranno) la bolletta dell’elettricità.

Nel mirino della zarina iberica del clima c’è proprio il pacchetto Fit for 55, il piano presentato dalla Commissione per tagliare le emissioni del 55% entro il 2030. L’ambiziosa strategia di decarbonizzazione europea prevede il progressivo e inesorabile abbandono dei combustibili fossili per produrre elettricità. Di conseguenza, e per via del prezzo ancora relativamente alto dell’energia prodotta da fonti rinnovabili (da imputare a sua volta alla relativa scarsità di impianti), il costo dell’elettricità sale. Parecchio.

Lo sa bene la Spagna, che a luglio ha infranto i propri record di apprezzamento dell’elettricità toccando i 106 euro per megawattora (Mwh). Per contestualizzare, la media europea a inizio 2020 era attorno ai 36 euro. Già a giugno il governo spagnolo aveva tagliato al 10% l’Iva sull’elettricità per far fronte all’aumento di prezzi; soluzione a breve termine che non ha bilanciato l’impennata nell’uso dei condizionatori per affrontare il caldo di luglio e i prezzi in ascesa dei certificati CO2 (anche detti ETS), che danno alle aziende il “diritto a inquinare”.

Tutto ciò secondo il Madrid, che comunque ha anche alzato i prezzi per determinate fasce orarie. Come fa notare FT, l’aumento di prezzi si deve molto più ai mercati del carbone e del gas naturale che non a quelli delle fonti rinnovabili, ancora minoritarie. In Parlamento c’è una proposta di legge che reindirizzerebbe i profitti di idroelettrico e nucleare nella rete energetica per ridurre il prezzo al consumatore. Nel frattempo, il sentimento pubblico in materia è tutto fuorché comprensivo.

Ma c’è un ulteriore motivo, di ordine geografico, per cui in Spagna e Portogallo l’elettricità costa sempre più cara: gli scarsi canali di vendita di energia con la Francia e dunque con il resto del continente. Come ha spiegato Ribera al Financial Times, “[noi] non possiamo diluire questi effetti in un mercato più ampio, come accade in Europa centrale, per via delle limitazioni nelle connessioni; siamo un’isola energetica […] e siamo nell’occhio del ciclone negli anni più turbolenti della transizione a energia più pulita”.

L’indipendenza energetica è l’altro grande vantaggio della transizione alle fonti rinnovabili, ma quello stadio è ancora lontano per un’Europa ancora troppo dipendente dai combustibili fossili. E però saranno le fasce più deboli della popolazione a subire maggiormente l’impatto della transizione verde, se non entreranno in azione misure per calmierare gli aumenti.

Ribera sta giocando d’anticipo: ha chiesto a Bruxelles di prendere misure per istituire un tetto ai prezzi per l’elettricità. Madrid ha anche chiesto all’Europa di utilizzare la legislazione esistente per contenere i prezzi degli ETS, in ascesa in tutta l’Unione, e non estendere le regole di emission trading anche a trasporti e alle case (dove il rischio di ripercussioni politiche è alle stelle).

La Commissione Ue ha controbattuto dicendo che il sistema dei prezzi vigente promuove la competizione, anche in vista del momento in cui le rinnovabili detteranno i prezzi più dei combustibili fossili. Il sistema precedente, in cui i prezzi venivano fissati dai regolatori, è stato descritto da un portavoce come “costoso, inefficiente e dominato da poche grandi aziende che controllavano il settore”.

Fit for 55 va ancora approvato dal Parlamento europeo, e giustamente il dibattito è aperto. L’Ue guarda avanti, assicura di poter controllare il prezzo degli ETS con una “banca centrale” del clima (market stability reserve) e garantisce un fondo da 72 miliardi di euro per ammortizzare l’impatto sugli strati della società più esposti. Gli stati come la Spagna, dal canto loro, guardano con preoccupazione (e con un occhio sui sondaggi) al peso che la spinta verde sta già avendo sui portafogli dei propri cittadini.

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