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Il centro riparta da Giuseppe Donati

Di Giancarlo Chiapello

Un pensiero di Donati, scritto su L’azione nel 1915 può tornare utile per aiutare nella lettura della politica italiana di oggi. L’intervento di Giancarlo Chiapello, politico e saggista, tra i fondatori nel 2004 e segretario organizzativo nazionale del movimento laico di ispirazione cristiana “Italia Popolare”

Il 16 agosto del 1931 moriva esule a Parigi uno dei popolari più significativi, Giuseppe Donati, autentico “cattolico penitente, democratico impenitente”, intellettuale e grande giornalista, primo direttore de Il Popolo dalle cui colonne lanciò un formidabile j’accuse contro il fascismo per il delitto Matteotti. Lui, capace di una delle più concrete e puntuali critiche al fascismo, fu uno di quei giovani che aderì entusiasticamente al progetto politico di don Luigi Sturzo.

Un pensiero di Donati, scritto su L’azione nel 1915 può tornare utile per aiutare nella lettura della politica italiana di oggi. In un tempo in cui è ormai evidente il fallimento del bipolarismo dell’odio che ha caratterizzato la così detta Seconda Repubblica il tema del “centro” torna di attualità. Sarebbe un errore però ridurlo a mera geografia politica legata ai posizionamenti di vecchia classe dirigente, da un quarto di secolo in perenne transumanza, o alle sigle politiche nate nello stesso lasso di tempo – e congeniali allo schema bipolare citato – soprattutto oggi di fronte al prorompente “Modello Draghi” che permette di mettersi all’opposizione dello stato delle cose.

Il “centro” significa innanzitutto capacità di recupero di dinamismo del sistema politico da troppo tempo costretto in una innaturale camicia di forza e il dinamismo è recuperabile su due coordinate precise, un ritorno ad un sistema elettorale più democratico, ossia il proporzionale, e un rifiorire delle identità politiche possibile solo attraverso la ricostruzione in Italia delle famiglie politiche europee (e in Europa il sistema elettorale è proprio quello proporzionale come nel maggiore dei Paesi, la Germania). È soprattutto con lo sguardo europeo, quello proprio dei padri fondatori democristiani, che è possibile finalmente uscire da questo lungo, lugubre declino politico, sociale, antropologico, in cui hanno dilagato il politically correct, la stagione dei desideri, l’individualismo, la personalizzazione, l’impreparazione politica: urge il ritorno al pensiero politico.

Il “centro”, dunque, ha bisogno di un’identità radicata in un pensiero senza essere ridotto ad una mera “politica di centro” più congeniale ai mestieranti: insomma, serve abbandonare la domanda tipica e logorante da seconda repubblica, “con chi vai?”, con quella più ambiziosa, “chi sei?” collegata alla coerenza di una storia politica. Le riflessioni di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera sull’interlocuzione con Silvio Berlusconi ha conseguentemente questo enorme limite: immagina un centro dentro il bipolarismo con caratteristiche sfumate (sorge il dubbio della confusione tra centro e “politica di centro” o, peggio, tra centro e mero moderatismo).

Il centro deve ritrovare il pensiero che lo incarna e questo non può che essere il popolarismo, cioè il pensiero più originale del cattolicesimo politico che è ben saldo in quella visione sociale cristiana radice evidente della piattaforma ideale e programmatica del Partito Popolare Europeo. Come insegnato da Sturzo il popolarismo è centrista ed il centro è popolare, con una caratteristica imprescindibile, l’autonomia che permette ai cattolici, che in esso si riconoscono, un rinnovato protagonismo sui territori ed in Europa. Come detto proprio le parole di Donati, allora, tornano utili: “Troppi cattolici sono ancora vittime di un’idea che il cristianesimo sia una dottrina d’ordine analoga all’ordine borghese e che quindi la bontà cristiana sia accomodante, conciliativa e pacifica, mentre il cristianesimo è una dottrina intransigente, tormentosa e militante”.

Si potrebbe arrivare a dire che il centro può rinascere dall’inquietudine e dalla coerenza ma solo se popolare in maniera creativa ed originale, non da alchimie o piccole e confuse operazioni su pezzi di Magistero considerati più à la page. Come lavorare per un simile risultato? Con i gruppi locali che, in spirito di sano municipalismo, ricreano spazi di agibilità politica legati alla comunità senza l’ansia delle alleanze nazionali, ricostruendo una autonomia vera, chiudendo l’epoca dei cattoconsulenti, dei cattoadulti, dei cristianisti, a servizio a destra e sinistra (col problema proprio della coerenza) che non ha avuto alcun risultato oltre a ridotte salvezze personali, dando centralità ai Giovani Popolari, ritrovandosi nel Ppe. Infine, per il bene di tutti, di ogni pensiero politico, lanciare a livello nazionale un “Manifesto Proporzionalista”.

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