Il premier Draghi punta a un dialogo atlantista con Cina, Russia, India per elevare il ruolo dell’Italia negli affari internazionali sfruttando la presidenza del G20. E quanto succede in Afghanistan può essere un catalizzatore
Un incontro a Roma con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov (da anni capo della diplomazia del presidente Vladimir Putin e unico deputato a parlare per conto del Cremlino in giro per il mondo); una telefonata col premier indiano, Nerendra Modi; un’altra chiamata programmata per i prossimi giorni con il segretario del Partito Comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping. Contatti programmatici per il presidente del Consiglio Mario Draghi, mentre dal Quirinale arriva il commiato per le vittime americana di Kabul con un messaggio significativo inviato dal presidente Sergio Mattarella all’omologo americano Joe Biden.
Roma cerca di usare il ruolo di presidenza di turno del G20 come vettore di un’Italia globale, centro di dialogo tra mondi differenti, distanti a tratti competitivi, ma che sui dossier più importanti non possono che parlarsi. Testimonianza quanto accade in Afghanistan, dove Cina, Russia e India sono sponde di contatto in quanto toccate direttamente dalla riconquista del potere da parte dei Talebani. Attori attivi nel comunicare con Kabul e dintorni.
La crisi afghana apre a due grandi problematiche collegate al contesto sicurezza. La prima è il potenziale esodo migratorio, con migliaia di afghani che nei prossimi mesi potrebbero dirigersi tanto verso l’Europa (da cui la proposta, lanciata su queste colonne, di un Migration Compact Ue), tanto quanto nei paesi limitrofi, che sono parte delle sfere di influenza di Cina, Russia, India e anche Turchia (altro membro del G20). Paesi questi interessati dunque nella gestione della situazione. Da qui, la seconda problematica, connessa alla possibilità che si inneschino dinamiche terroristiche.
Quanto successo all’aeroporto di Kabul racconta di un gruppo, lo Stato islamico nel Khorasan, che è assolutamente intenzionato a usare il contesto caotico del ritorno dei Talebani – che non controllano di fatto ampie zone di territorio – per innescare una forma di guerra civile. La potenzialità è chiara: sfruttando la predicazione e la propaganda jihadista, l’Afghanistan potrebbe diventare il centro magnetico dei fanatici radicalizzati islamici da ogni angolo della regione e non solo. Quei paesi sopra citati diventano necessario contatto per controllare in modo cooperativo l’eventuale espansione di certe dinamiche terroristiche.
Questa espansione interessa anche l’Europa, come detto, ossia noi italiani. Il rischio è l’emulazione, frutto dei successi dei terroristi, ma anche della pianificazioni per attacchi sul nostro territorio. Diventa centrale dunque il dialogo lanciato dal presidente Draghi, fermo restando che la cooperazione si giocherà all’interno dei segmenti europei, e dunque Nato, e dunque insieme agli Stati Uniti – che stanno contraendo i loro coinvolgimenti, ma restano attore cruciale.
È in questo che la vicenda afghana può diventare un catalizzatore per smuovere altri dossier, dove la cooperazione (per quanto complessa, non illudiamoci!) è cruciale. Si pensi alla Libia. Chiaro che sotto questo quadro diventi sempre più necessaria una qualche forma di apertura verso Mosca e Pechino, così come verso Ankara, e un migliore dialogo con Nuova Delhi. Il ruolo dell’India è per altro centrale nel giocare bilanciamenti all’interno di queste dinamiche, scelta non causale quella del premier Draghi di intervallare l’incontro con russi e cinesi con la conversazione con Modi, che sta stringendo le proprie relazioni con l’Occidente.