Skip to main content

Con Bibi il Mossad lasciò “al buio” la Cia di Biden. E ora?

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Il New York Times rivela che nei mesi passati l’intelligence israeliana ha ignorato le richieste di aiuto Usa sull’Iran a causa dei dubbi dell’ex premier verso il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ora tocca a Bennett

La rete di informatori della Cia in Iran è stata in gran parte persa a causa delle operazioni di controspionaggio brutalmente efficienti di Teheran. L’intelligence statunitense, troppo al buio in un Paese considerato ostile, aveva chiesto sponda a Israele, che ha per diverso tempo supportato gli alleati americani. Poi però, con l’inizio dell’amministrazione di Joe Biden, per volontà dell’ex primo ministro Benajamin Netanyahu, è stata più fredda. Lo rivela un articolo informato del New York Times, uscito poche ore prima dell’incontro di giovedì – poi rinviato a venerdì a causa dell’attentato a Kabul, in Afghanistan – tra l’attuale premier israeliano, Naftali Bennett, e il capo della casa Bianca. Nelle scorse settimane, come raccontato su Formiche.net, un faccia a faccia tra i vertici dell’intelligence aveva preparato il terreno alla visita di Bennett negli Stati Uniti.

Duro con l’Iran ma più dialogante con gli Stati Uniti (rispetto al predecessore): questa la linea annunciata da Bennett prima dell’arrivo a Washington e già evidenziato dal suo ministro degli Esteri, Yair Lapid, durante l’incontro di giugno a Roma con l’omologo statunitense, Antony Blinken.

Il dialogo degli Stati Uniti con Israele, nei mesi di convivenza tra Biden e Netanyahu, ha poggiato su due pilastri che hanno compensato la fine di un rapporto diretto tra i leader com’era con Donald Trump alla Casa Bianca: il presidente di Israele (prima Reuven Rivlin, oggi Isaac Herzog, ex laburista con importanti rapporti internazionali) e il Mossad.

Infatti, se Netanyahu non è mai stato invitato alla Casa Bianca da Biden, a fine aprile Yossi Cohen, suo fedelissimo e allora capo del Mossad, era stato ricevuto dal presidente statunitense. “L’importanza degli appartati, su tutti quello dell’intelligence, in Israele è cruciale: i governi passano, la politica vive un perenne disequilibrio, mentre le strutture guidano lo Stato”, sottolineavamo. “Segno evidente che questo tipo di interlocuzione resta viva anche con la Washington democratica di Joe Biden, mentre cambia la postura nei confronti di Netanyahu”.

La condivisione di informazioni di intelligence è alla base delle relazioni tra due Paesi, fondamentalmente connesse al quadro ampio della sicurezza, all’interno del quale rientrano anche elementi di carattere strategico come la cooperazione su settori hi-tech e finanziari. Israele è un moltiplicatore per le capacità statunitensi di infiltrarsi e raccogliere info tra rivali e partner nella regione e non solo (Washington e Gerusalemme cooperano per esempio anche in Sudamerica, dove interessi connessi all’Iran sono attivi e dove c’è un’ampia comunità ebraica).

Ora il vantaggio israeliano riguarda la presenza sul campo. Il Mossad può contare su una più forte human-intelligence, che gli ha permesso di portare a termine operazioni come l’uccisione del fisico nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh oppure il sabotaggio  di aprile all’impianto atomico di Natanz, a Sud di Teheran. In quest’ultima occasione, secondo le fonti del New York Times, gli Stati Uniti furono avvisati all’ultimo minuto. Netanyahu voleva evitare qualsiasi genere di interferenza: le temeva perché sapeva che Biden stava spingendo molto sulla ricomposizione dell’accordo Jcpoa.

Ed è anche alla luce di queste riflessioni che sia a Washington sia a Gerusalemme si spera fortemente che Biden e Bennett (poco esperto a livello internazionale ma può contare sulla sponda di Herzog) riescano a costruire un solido rapporto personale. Per permettere agli apparati di lavorare senza ostacoli aggiuntivi.



×

Iscriviti alla newsletter